Tennis

Hyeon Chung, la coscienza di un introverso

Chung Hyeon - Foto Ray Giubilo

“Hong-ik ingan”, ossia “vivere e lavorare per il bene dell’umanità”, è il motto di tutta la popolazione coreana. Se per “lavorare” intendiamo eseguire al meglio qualunque cosa si faccia nella vita, Hyeon Chung da Suwon, classe 1996, meriterebbe già una medaglia d’oro.

Appena due giorni fa, il mondo intero si è lustrato gli occhi assistendo al modo in cui questa sorta di nerd della racchetta ha dato all’ex numero 1 del mondo, Novak Djokovic, una sonora lezione di tennis. Al netto del risultato sul quale, per carità, ha certamente influito anche la condizione non ottimale del serbo, a stupire sono state attitudine e una sconvolgente imperturbabilità. Mai un atteggiamento fuori posto o un’esultanza smodata, come è tipico delle sue parti.

“Il pensiero introverso può occuparsi di entità astratte o concrete, ma al momento decisivo si orienta sempre senza farsi influenzare dall’esterno”. Le parole di Carl Gustav Jung offrono all’universo tennistico un fedele ritratto di Hyeon Chung. Quanto al lato tecnico, meglio lasciar parlare il campo.

I fondamentali sono già eccellenti e ai piedi sembra abbia un hoverboard con il motore di un Boeing. Non è un caso se durante l’incontro di ottavi di finale Jamie Murray, fratello del più noto Andy nonché doppista strepitoso, abbia twittato: “Chung sta facendo a Novak ciò che Novak ha fatto agli altri negli ultimi cinque anni”. Provate a chiedere a chicchessia una disamina tecnico-tattica del match migliore di questa. Non riuscirà a darvela.

Dal piazzale di fronte a casa al trionfo nel Masters “Next Gen” fino alla semifinale raggiunta questa notte a Melbourne, il passo è stato breve. Da bambino giocava spesso con il fratello maggiore Hong (attualmente numero 629 del ranking ATP) e dopo un drastico indebolimento della vista i medici consigliarono ai suoi genitori di fargli trascorrere la maggior parte del tempo a contatto con il colore verde. Verde fosforescente, magari. Come quello della pallina da tennis. Verde come l’erba di Wimbledon, dove nel 2013 perse la finale juniores con l’azzurro Gianluigi Quinzi, instaurando involontariamente e con cinque anni di ritardo un processo mediatico tipico della tradizione tricolore. Il passaggio da Junior a Pro non è uno scherzo e più di qualcuno dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza. A risentirne, in fin dei conti, sono sempre e solo i ragazzi, che salgono e scendono dal banco degli imputati nemmeno fossero le scale mobili di una metropolitana.

Timido, taciturno, poco reclamizzato rispetto ad alcuni suoi colleghi. Hyeon Chung sta raccogliendo quanto di buono ha seminato negli ultimi anni, a partire dalla passata stagione. Le vittorie con alcuni “top” del circuito, come con Gael Monfils a Monaco o con David Goffin a Montreal ne sono l’esempio. Vittorie e punti ATP, tanti e lontano a sufficienza dalle copertine.

A Melbourne, vicino a questo straordinario prodotto della robotica coreana, ci sono poche persone. I genitori, ovviamente, il fratello e coach Hyunjoon Suk. Loro, come tutti noi, hanno assistito ad un meraviglioso pezzo di storia. La vittoria con lo statunitense Tennys Sandregen proietta Chung e il tennis coreano in una dimensione ai limiti del proibito. Sarà semifinale, la prima della storia. Il record di Hyung Taik Lee, issatosi nell’agosto del 2007 fino al numero 36 delle classifiche mondiali, è ormai solo un ricordo. Se l’avventura dovesse interrompersi in semifinale, il classe ’96 sarebbe numero 29. Uno dei capitoli iniziali di una splendida favola che ha ancora tanto da raccontare.

 

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