Erano le 19.29 dell’11 febbraio 2018, al PalaTricalle di Chieti l’Italia batteva la Spagna in Fed Cup e il tennis azzurro brindava all’esplosione di una nuova stella. Deborah Chiesa, all’esordio nella competizione a squadre per nazionali, si era resa protagonista di un palpitante match thriller vinto al tie-break del terzo set contro l’iberica Lara Arruabarrena. Una prova di forza e di nervi che aveva lanciato, anche per coloro che non ne avevano seguito il percorso Junior, una splendida atleta dagli occhi di ghiaccio verso platee di assoluto prestigio, come il tabellone principale del Roland-Garros in cui tre mesi più tardi sarebbe arrivata ad un solo punto dal successo contro Belinda Bencic.
Trentina classe ’96, Deborah con Belinda ha condiviso gran parte della carriera giovanile, essendo entrambe nel gotha del circuito Tennis Europe prima ed ITF under 18 poi. E probabilmente le due si sarebbe potute sfidare tante altre volte nel circuito maggiore, ma si sa, per diventare una campionessa non bastano un gran servizio e la capacità di adoperare la racchetta come una bacchetta magica nell’eseguire il rovescio lungolinea.
Dopo quel magistrale 2018, in cui l’azzurra raggiunse anche il best ranking di numero 143 WTA, di reali soddisfazioni ne sono arrivate poche. Confusione, insicurezza, mancanza di continuità da tutti i punti di vista, compreso quello fisico. Deborah non è più la stessa, sorride meno, perde di più. A tratti non si sente all’altezza della grande chance che si è regalata, anzi conquistata, di entrare “nel tennis che conta”, di potersi confrontare settimana dopo settimana con le migliori giocatrici del mondo. È come se fosse arrivata in alto troppo presto: la consapevolezza è una dote che nello sport fa la differenza, e dopo le emozioni di quell’indimenticabile stagione al talento del Nord sembra mancarne parecchia. Così arrivano le sconfitte, le domande, i momenti bui. E gli infortuni.
Prima qualche acciacco che la tiene lontana dai campi per settimane, poi, verso fine 2019, un problema serio. “Ho subito un infortunio da sovraccarico al piede sinistro. Ho passato mesi molto difficili, purtroppo il problema si è rivelato più complicato di quello che pensassi. Ora però sta finalmente andando meglio” scriveva sui social Deborah il 2 giugno 2020, quando si iniziava a intravedere la luce in fondo al tunnel. E infatti, nonostante il Covid a rendere ancor più complicato il percorso di riabilitazione, era una nuova Chiesa – rigenerata anche dagli ottimi voti negli esami universitari della facoltà di lingue – quella che si presentava all’inizio della preparazione invernale ad Anzio con il Piccari&Knapp Tennis Team.
Allenamenti tecnico-tattici in campo, atletica e prevenzione fuori. Tutto con attenzione e maniacale cura dei particolari, come le hanno insegnato in casa e come lei, sin dai primi tornei con zainetto, racchetta “corta” e pugnetto facile, ha imparato a gestirsi. La situazione sembra volgere per il meglio, il ritmo degli scambi sale e i fastidi scendono, quasi spariscono. E invece ci risiamo.
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“Verso metà dicembre hanno iniziato a gonfiarmisi le dita delle mani – scrive amareggiata sui social Deborah oggi, 17 febbraio – con annesso dolore a stringere i pugni, a prendere oggetti e soprattutto a tenere la racchetta in mano. Dopo varie visite specialistiche, mi è stata diagnosticata una forma di artrite, con la quale a quanto pare dovrò imparare a convivere. È stato un duro colpo, considerando la mia assenza dai campi per 8 mesi nel 2020 a causa del passato infortunio al piede. Non so ancora quanto questo ulteriore infortunio mi terrà lontana dai campi, ma da qualche settimana a questa parte ho iniziato una terapia e sta andando meglio, per questo motivo ho deciso di dare un aggiornamento solo ora”.
Sconforto sì, ma con mirabile ottimismo il pensiero è già a quando il male passerà: “La mia voglia di giocare e tornare a competere rimane sempre bella salda, anzi, si fortifica ogni giorno di più. Cerco di rimanere positiva, anche se non è facile, nella speranza che potrò tornare ad allenarmi al più presto”. Un altro ostacolo sulla strada verso la rinascita, un altro infortunio ad impedirle di fare il suo mestiere, ma soprattutto ciò che più ama. La salita è ripida, ma in fondo non esiste una sfida impossibile per chi è nato per combattere.
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