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“Terminati gli allenamenti tornava a casa, prendeva di nuovo in mano la racchetta e continuava a giocare con il muro cercando di accendere e spegnere ripetutamente l’interruttore della luce”.
Non dev’essere facile quando hai tutti gli occhi addosso. Quando tutti sono lì per te, ti scrutano dentro e cercano di capire chi sei. Respiri pressione, la senti, la vivi. Lasci rimbalzare la palla, la lanci in aria per servire e colpisci. Un punto, poi un altro e un altro ancora. La mente viaggia, spesso assai più veloce della pallina, e devi essere tu a tirare il freno di emergenza perché se si allontana troppo è finita. L’eco dei colpi, il silenzio, gli applausi. La magia del tennis.
Jannik Sinner accenna un timido sorriso, scaraventa la pallina in tribuna, stringe il pugno della mano destra. La vittoria in 4 set ai danni dell’americano Frances Tiafoe nel match che chiude la prima giornata delle Next Gen ATP Finals 2019 è l’ennesima di una stagione strepitosa. Un crescendo rossiniano, quello del diciottenne di San Candido, in grado di destare l’animo anche degli appassionati più assopiti. Abbiamo raggiunto telefonicamente Heribert Mayr, uno dei primi maestri di Jannik, per salire insieme a lui sulla macchina del tempo. Ne è uscito fuori un viaggio affascinante, ricco di spunti e aneddoti speciali.
“Sono passati diversi anni ormai – racconta Mayr – ma nonostante tutto i ricordi sono ancora ben impressi. Jannik venne da noi all’età di sette anni e notai subito come fosse un ragazzo estremamente ambizioso. Aveva una grandissima voglia di giocare e di imparare, non stava mai fermo. Terminati gli allenamenti tornava a casa, prendeva di nuovo in mano la racchetta e continuava a giocare con il muro cercando di accendere e spegnere ripetutamente l’interruttore della luce. Detestava perdere, proprio non sopportava l’idea. Spesso concludevamo gli allenamenti con dei tie-break e se non riusciva ad aggiudicarseli scoppiava a piangere, arrabbiatissimo”. In un attimo lo storico maestro di Brunico si era accorto di avere tra le mani un diamante prezioso. “La facilità nei colpi e negli spostamenti era palese – prosegue ‘Hebi’ – così come la coordinazione e la visione di gioco. Doti fuori dal comune per un ragazzo della sua età. Sapeva ascoltare gli insegnamenti e metterli in pratica. Ero certo sarebbe diventato molto forte, anche se non mi aspettavo un’esplosione del genere. Il rovescio è sempre stato il suo colpo migliore, gli usciva dalla racchetta con una facilità sorprendente”.
Guai, però, ad immaginare una vita completamente assorbita dal tennis. “Rispetto ai suoi coetanei si allenava pochissimo. Parliamo di due, massimo tre volte a settimana, per non più di un’ora e mezzo. Era lui che, ultimata la sessione, cercava immediatamente altri ragazzi per continuare a giocare. Tra me e Jannik c’era e c’è tuttora un ottimo rapporto. Ci sentiamo spesso via messaggi e quando può viene a trovarmi”. Improvvisamente coach Mayr vira su un aspetto cruciale e molto delicato, quello del rapporto tra atleti e genitori. “A mio avviso una delle componenti principali della sua crescita, umana e sportiva allo stesso tempo, è stato il comportamento della famiglia. Mamma Siglinde e papà Hanspeter non si sono mai intromessi, lasciandoci lavorare nel migliore dei modi. Lo accompagnavano al campo e tornavano a prenderlo all’orario stabilito, come da accordi. Tutto ciò ha fatto sì che lui fosse sempre tranquillo anche in campo. Sapeva sempre ciò che doveva fare e come farlo. In passato ha provato con lo sci ed era tecnicamente molto dotato anche se troppo leggero fisicamente. È indubbio che abbia accusato il salto di categoria nel momento in cui si è trovato a competere con ragazzi più formati dal punto di vista fisico e per questo ha scelto il tennis, dove stava andando molto bene”.
Un rapporto sincero, quello tra ‘Hebi’ ed il piccolo Jannik, denso di momenti indelebili trascorsi uno al fianco dell’altro. “Con lui ne ho vissute tante e ne ricordo una in modo particolare. Eravamo ai Campionati Nazionali under 13 ad Avezzano, in Abruzzo. La mattina della semifinale venne da me e mi disse che stava poco bene. Lo calmai, invitandolo a sciacquarsi il viso e a rilassarsi un attimo per sciogliere un po’ di tensione. Le cose non miglioravano e decidemmo di andare in ospedale, dove ci tranquillizzarono. Riuscì a scendere in campo, lottò e perse soltanto al terzo set. L’ansia gli aveva tirato un brutto scherzo ma aveva saputo reagire, una qualità che si porterà dietro per sempre. Oggi è uno dei suoi punti di forza”.
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Freddo, concentrato, ai limiti dell’imperturbabile. Il Sinner di oggi non è più il bambino che faceva tanta fatica ad allontanarsi da San Candido. Ne sa qualcosa anche un campione come Roger Federer, lacerato dentro i primi tempi lontano da Basilea. “Quando era piccolo sentiva spesso nostalgia di casa, non era affatto semplice partire per andare a giocare tornei. La scelta di lasciare la sua terra e trasferirsi a Bordighera per continuare ad allenarsi mi lasciò decisamente stupito. Aveva preso una decisione e la malinconia ci mise pochissimo a scivolare dietro nelle sue sensazioni quotidiane. Si era dato delle priorità e lo aveva fatto nel momento da lui ritenuto opportuno”.
Una carriera, quella del talentuoso azzurro, destinata a riempirsi delle pagine più belle. “Non parliamo molto del suo presente – conclude Mayr – percepisco entusiasmo, una gran voglia di andare avanti e cercare di raggiungere obiettivi importanti. Può diventare 20 del mondo, 10 o 5. Nel mio modo di vedere questo sport non fa molta differenza. Se il fisico lo sorreggerà può davvero arrivare in alto, a patto di non perdere mai la sua natura. Guai a montarsi la testa, perché in quel caso inizierebbero i problemi. Un consiglio a chi si avvicina al tennis? Restare umili, lavorare sodo e cercare sempre la forza per superare i momenti difficili”.
Foto AMSI (Associazione Maestri di Sci Italiani). Nel 2012 Jannik Sinner si classificò secondo al Gran Premio Giovanissimi di Falcade, prestigiosa gara a livello internazionale. Nell’albo d’oro della manifestazione presenti campioni del calibro di Deborah Compagnoni, Karen Putzer e Alberto Senigagliesi.
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