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Lorenzo Giustino ha conquistato al Roland Garros il match dei record. La vittoria 18-16 al quinto set contro Corentin Moutet rappresenta l’incontro più lungo mai giocato da un italiano in un torneo dello Slam. ‘Justin’ ha emozionato migliaia di italiani in un parziale decisivo dai mille ribaltamenti di fronte e dall’esito quanto mai incerto. Ma cosa si cela dietro a questo match? Chi è e da dove arriva il ventinovenne napoletano?
La famiglia Giustino si trasferisce da Napoli a Barcellona a fine anni ’90. Il piccolo Lorenzo, che aveva iniziato a giocare a 4 anni in Campania, entra nell’accademia di Manolo Orantes ma è con Albert Torras (storico coach di Federico Delbonis) che inizia a fare sul serio. Da ragazzino, in Catalogna, vince qualsiasi tipo di torneo. In Spagna cercano di convincerlo a giocare per la ‘Roja’, ma Lorenzo non ha alcun dubbio: “Sono italiano e difendo la bandiera italiana. Anzi, quando gioca la Spagna io gufo!”. Uno dei primi insegnamenti, di tennis e di vita, arriva da un grande mentore di Giustino, il due volte vincitore del Roland Garros Sergi Bruguera: “Bisogna capire il tennis, poi giocarlo”. Lorenzo in campo diviene camaleontico, caratteristica che lo accompagnerà per tutta la sua carriera; studia l’avversario, lo ‘sente’, lo assimila e agisce di conseguenza. Se c’è da ‘remare’, si ‘rema’, se c’è da attaccare, si accelera. Anni fa, guardando due match diversi di Giustino, si poteva avere il dubbio che in campo ci fossero due giocatori diversi. E invece è sempre lui, pronto ad adattarsi a ogni genere di avversario.
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Negli anni Lorenzo si allena con tanti coach di livello, italiani e non, passando per Tomas Tenconi, Diego Nargiso, sino all’attuale lavoro svolto con Pere Riba e soprattutto Gianluca Carbone, tecnico dai grandi valori umani e dalle notevoli capacità tecnico-tattiche. “Ora lavoro tanto, ma con più qualità”, ha spiegato recentemente ‘Justin’, tra i giocatori più simpatici del circuito, in una recente intervista.
Quantità, qualità e alcuni preziosi consigli. Averli a disposizione è un privilegio, saperli mettere a frutto una dote. Nel mese di settembre della passata stagione è proprio Carbone a spingere fortemente per l’ingresso di Lorenzo nel team dello spagnolo Albert Ramos, già vincitore di due titoli a livello ATP. Dal lavoro in campo, alla programmazione: il contributo di un coach dall’esperienza ventennale come José Maria Diaz è subito palpabile, un valore aggiunto non indifferente. La generosità dell’ex numero 17 del mondo, sempre prezioso e disponibile durante gli allenamenti, sta facendo il resto.
Il livello di Giustino è alto già da qualche anno, ma nel 2019 qualcosa sembra scattare nella sua mente. Come se fosse arrivato quel ‘clic’ tanto atteso. La stagione inizia al meglio, conquista il primo titolo challenger ad Almaty oltre a tantissimi altri piazzamenti. Nella Race Atp è ampiamente Top-100 ma, dopo il ‘clic’ giunge purtroppo anche un ‘crack’: il gomito duole, tanto, Lorenzo non riesce quasi più a competere, anche se prova lo stesso a scendere in campo senza successo. Il resto è storia recente. È un 2020 iniziato col primo Slam in tabellone, seppur da lucky loser, a Melbourne, altri infortuni e una tranquillità fisica che pare una chimera. Fino a oggi, fino a una giornata che entra di diritto nella storia del tennis italiano. Grazie a un ragazzo di sangue campano e grinta iberica, con una forza mentale e un coraggio fuori dal comune.
Dietro questo match si cela tanto, dunque. Per spiegare da dove arrivi Lorenzo Giustino e come sia apparso all’improvviso, invece, basta guardare il sorriso dopo il match point, su un volto devastato dalla stanchezza ma colmo di gioia, la gioia vera, quella di chi aspettava questo giorno da una vita intera. In quel sorriso ci sono tutti i sacrifici, i match persi 7-6 al terzo set, le belle vittorie e le rimonte subite. È anche un sorriso di consapevolezza, come a dire, con forza e convinzione: ‘adesso ci sono anche io, fate largo’.
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