Río Cuarto, Río Cuarto Río Cuarto, Río Cuarto
Cuatro ranchos y un convento Quattro ranch e un convento
Y una Virgen que te cuida e una Vergine che si prende cura di te
Villa heroica del desierto Villaggio eroico del deserto
“Villa Heroica”, forgiato dalla penna dell’immenso Jorge Torres Velez, è l’inno della città di Rio Cuarto. Siamo nella provincia di Cordoba, in Argentina, per essere più precisi nella parte meridionale della provincia, quella che più di tutte sorge sulle rive del fiume omonimo. Lo conoscono tutti, quest’inno, soprattutto i migranti italiani che all’inizio del Novecento invadono letteralmente questa parte del mondo. L’Argentina impiega un attimo ad affermarsi come il primo sbocco latinoamericano per chi ha disperatamente bisogno di cambiare vita e mantiene questa posizione fino alla Seconda Guerra Mondiale. Da Genova partono in centinaia di migliaia (oltre 750 mila tra il 1902 ed il 1912) e si lasciano subito inghiottire dal tentacolare porto di Buenos Aires.
Sul Regina Margherita, il piroscafo intitolato alla prima regina d’Italia e varato nel 1884, ci sono tante persone che partono dal Piemonte e tra queste anche i bisnonni di Franco Agamenone. Con coraggio hanno lasciato casa, terra e famiglia alla ricerca di un futuro migliore. Franco arriva in tutta un’altra epoca (è nato nell’aprile dell 1993) ma lo spirito di sacrificio è lo stesso degli avi, gli scorre nel sangue. Vuole giocare a tennis e per provarci seriamente lascia Rio Quarto e vola in Italia con l’aereo, perché del battello a vapore non c’è più bisogno.
Dalle competizioni a squadre, quelle grazie alle quali impara l’Italiano, fino ai primi ITF, poi i Challenger e alla fine il main draw di uno Slam. Lo scorso anno, a maggio, Franco Agamenone era fuori dai primi 450 e provava a costruirsi una buona classifica giocando i 25K. Oggi è numero 156 e stenta a credere di aver incontrato alcuni mostri sacri di questo sport negli spogliatoi del Philippe Chatrier. “Ricordo l’arrivo di Franco a Lecce tra il 2018 ed il 2019 – spiegava circa 10 mesi fa coach Andrea Trono – lo ingaggiammo per giocare il campionato di Serie B senza averlo mai visto dal vivo, fidandoci solo del ranking. Vincemmo grazie ai suoi colpi e notai subito che aveva tante armi a disposizione, semplicemente doveva capire come e quando usarle”.
Da sempre con il doppio passaporto, Franco oggi gioca con la bandierina italiana accanto al suo nome e gli ultimi risultati lo hanno fatto arrivare a Parigi con fiducia. “Ero conscio delle mie potenzialità – ha dichiarato Agamenone in occasione del primo Major della sua vita – ma non pensavo di poter raggiungere questo livello così in fretta. Sono felicissimo di quello che stiamo costruendo e se sono qui è anche grazie al lavoro straordinario che il mio team svolge ogni giorno. Un’emozione come quella di giocare il Roland Garros non l’avevo ancora vissuta nella mia vita, è il sogno ad occhi aperti che facevi da bambino guardando la televisione che diventa una meravigliosa realtà”. La vita sa essere imprevedibile, proprio come il suo gioco. “In passato ero più abituato a stare sulla riga di fondo mentre nell’ultimo anno abbiamo apportato dei cambiamenti e ci siamo spinti all’attacco. Adesso riesco davvero a divertirmi”.
Come accade spesso, la consapevolezza nei propri mezzi è tutto. Acquisirla riuscendo a restare con i piedi per terra non può che essere un valore aggiunto. “Sento che non manca molto per raggiungere il livello di alcuni ottimi giocatori presenti a Parigi, devo soltanto continuare su questa strada con tutte le difficoltà del caso. L’erba? Non ci ho mai giocato. Prima si pensa ai Challenger che ci sono in Italia nelle prossime settimane, poi si vedrà. Adesso è molto importante anche fare esperienze. Mi piacerebbe chiudere la stagione tra i primi 100 del mondo anche se in questo momento la cosa principale è giocare ogni torneo meglio del precedente”.
Proprio come i tanti italiani che nei primi anni del Novecento si chiudevano dietro una porta, sfidando l’ignoto, anche Agamenone non è immune da un po’ di nostalgia. “L’Argentina? – risponde mentre una lacrima gli solca il viso –. È più di un anno e mezzo che non vedo la mia famiglia, a Lecce sto bene ma è normale che mi manchi. Con il tempo ho trovato anche qualche similitudine, in un modo o nell’altro riesco a respirare anche qui odore di casa”. Vada per quello di casa, allora, ma il profumo di asado (la famosa carne argentina, ndr.) è difficile che arrivi. “A fine anno potrei decidere di giocare alcuni tornei dalle mie parti – chiosa Franco – potrebbe essere l’occasione giusta per ritrovare un po’ di affetti”.