Tennis

Francesca Schiavone, la Leonessa che non smette di sognare

Francesca Schiavone - Us Open 2016 - Foto Ray Giubilo

“Mi ritiro col cuore, perché quando sono arrivata qui e ho visto i campi la testa mi diceva altro”. Esordisce così Francesca Schiavone in una conferenza stampa convocata agli Us Open. Il motivo era chiaro ai più, tanto da scatenare sui social con un giorno d’anticipo i primi messaggi di affetto da parte dei tifosi ad un’atleta entrata nel mito dello sport italiano, ma l’ufficialità è arrivata solamente attraverso le sue parole.

Così cala il sipario sulla carriera di una delle pietre miliari del tennis italiano. A Francesca è toccato il ruolo di apripista per il momento più felice del movimento azzurro tra le donne, toccando vette inesplorate e facendo da traino alle altre ‘sorelle d’Italia’ con cui ha condiviso tre delle quattro splendide Fed Cup tra 2006 e 2010. Già, il 2010, l’anno zero per l’Italtennis femminile. È la stagione che culminerà con il primo Slam della storia per una donna azzurra, quella cavalcata trionfale conclusasi sul Philippe Chatrier: la terra parigina, letteralmente assaggiata, la scalata per abbracciare il suo box prima della premiazione, l’inno di Mameli che risuona nella capitale francese cantato con un sorriso smagliante. Francesca ha sognato e fatto sognare, contagiando tutti con grinta e intensità, qualità fondamentali per diventare la prima italiana in top-10 e sfatare quel tabù che persisteva da Silvia Farina – al massimo affacciatasi al numero 11 delle classifiche mondiali –  vera e propria boccata d’ossigeno sulla cui scia si sono inserite anche Errani, Pennetta e Vinci. Il best ranking di numero 4 raggiunto dalla milanese resta tutt’ora il migliore all-time per il tennis azzurro (a pari merito con Panatta), numero che l’ha accompagnata nelle 4 ore e 44 minuti della storica partita vinta sulla Kuznetsova che le ha garantito proprio quella posizione in classifica dopo gli Australian Open del 2011.

Una carriera da “Leonessa”, quel soprannome mal sopportato agli inizi ma poi diventato il suo inseparabile appellativo. “Agli inizi ero insopportabile – raccontava negli anni passati – ma non c’era un motivo in particolare, ero molto meno disponibile. Poi ho scoperto che la leonessa ha anche altre qualità ed è bello essere paragonata a lei non solo per la grinta e le urla”.  Una maturazione, quella della Schiavone, a 360°: a livello tennistico ha dovuto ingoiare bocconi amari come le otto finali perse prima di vincere nel 2007 il suo primo titolo a Bad Gastein, antipasto del trionfo parigino nel 2010 che la consacrò come la seconda vincitrice più anziana in uno Slam a quasi 30 anni. Un traguardo, comunque, assolutamente non casuale come dimostra la finale al Roland Garros di dodici mesi dopo persa da Li Na  (ma anche con qualche rimpianto per una chiamata arbitrale della Engzell): il suo #SchiavoChannel con il quale condivideva sessioni di allenamenti e frasi motivazionali con i fan era il segnale più tangibile per passione e dedizione nei confronti del Gioco, tanto da posticipare di una stagione il suo ritiro.

Il destino ha però voluto beffarla con un infortunio alla caviglia in allenamento nella preparazione in vista del 2018, inciampando in una palla a bordo campo. Nonostante ciò, c’è stato comunque il tempo per un saluto degno della sua grandezza al Foro Italico, dove ha infiammato per l’ultima volta il pubblico romano sfiorando lo scherzetto alla Cibulkova. Adesso, con le sue parole a New York, la magnifica avventura è giunta definitivamente al capolinea ma la milanese ha già altri obiettivi da raggiungere. “Quando ho iniziato a giocare avevo due sogni: vincere il Roland Garros e diventare top-10. Ci sono riuscita ma il cuore ha bisogno di altri sogni – ha continuato Francesca – e adesso voglio vincere uno Slam da coach”. Schiavone non abbandonerà dunque il tennis, anzi è già al lavoro per imparare il nuovo mestiere. “Sono a Miami, alleno ragazzi di qualsiasi età, persino uomini di 75 anni. Ma spero di tornare in Italia presto perché anche qui abbiamo grandi talenti”.

Il suo non è un addio ma soltanto un arrivederci, nonostante qualche inevitabile attimo di commozione: “Avevo preparato un discorso bellissimo ma mi perdo sempre con le parole”, ha scherzato Schiavone dispensando sorrisi anche nell’ultimo suo giorno da giocatrice. Grazie Francesca, a presto.

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