Si chiude come meglio non avrebbe potuto la favola di Danielle Collins nel WTA 1000 di Miami. La 30enne nativa della Florida conquista il titolo più importante della sua carriera e lo fa in quello che è il suo ultimo anno da professionista sul circuito, al termine di un torneo in cui si era ritrovata a due punti dalla sconfitta nel match d’apertura contro Bernarda Pera. E invece, dieci giorni dopo, alza al cielo il trofeo dopo aver sconfitto con il punteggio di 7-5 6-3 una Elena Rybakina decisamente lontana dai suoi giorni migliori, molto fallosa e soprattutto mai troppo “dentro” la partita a livello mentale e nella lettura dei momenti del match.
LA PARTITA – Match che nelle sue fasi iniziali vola via abbastanza rapido. Si gioca spesso sull’uno-due, difficilmente si assiste a scambi interminabili. Il set segue i servizi, con Collins che non concretizza una chance nel secondo game e soprattutto Rybakina che invece ne spreca addirittura quattro di palle break sul 3-3. Sul 5-5 la kazaka non sfrutta una quinta opportunità e alla fine il poco cinismo e un atteggimento fin troppo passivo in queste situazioni si rischia sempre di pagarlo. Così è, perché nel dodicesimo game Collins alla terza palla set riesce a ciudere la frazione per 7-5 togliendo per prima la battuta all’avversaria.
Black-out per Rybakina, che va subito sotto di un break all’inizio della seconda frazione. Questa volta, però, è Collins a tremare un po’: non concretizza una palla del 3-0 e per la prima volta nel match perde il servizio. La kazaka torna in partita e i servizi per una fase tornano a farla padrona. Fino al 4-3, quando la statunitense alla seconda chance utile – anche sfruttando un paio di errori banali e gratuiti dell’avversaria – trova il break che la porta a servire per il match. Sul 5-3 succede un po’ di tutto: Collins sale 30-0 ma il braccio trema sempre più e si ritrova 30-40. Rybakina ancora una volta spreca, sbagliando una risposta sulla palla break. Collins ha bisogno in totale di quattro match point per riuscire finalmente a chiudere la sfida e lasciarsi andare in un pianto liberatorio.