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“Vuoi essere un grande? Comincia con l’essere piccolo. Vuoi erigere un edificio che arrivi fino al cielo? Costruisci prima le fondamenta dall’umiltà”. Ogni singola parola di questa magnifica frase di Sant’Agostino riassume alla perfezione la storia di Dominik Koepfer.
Il ventiseienne tedesco, nato a Furtwangen, nel bel mezzo della Foresta Nera, è balzato agli onori della cronaca per la prima volta agli US Open del 2019, quando partendo dalle qualificazioni ha raggiunto gli ottavi di finale battendo giocatori di grande livello, su tutti il gigante Reilly Opelka al secondo turno e il georgiano Nikoloz Basilashivili al turno successivo. Fu sconfitto solamente dal futuro finalista Daniil Medvedev agli ottavi di finale, dopo aver giocato un primo set praticamente perfetto, mettendo in mostra un tennis davvero efficace, esattamente come al Foro Italico. Le grandi battaglie con Flavio Cobolli, Gilles Simon e Mikail Kukushkin in qualificazioni, la rocambolesca vittoria su De Minaur al primo turno, i successi netti su Monfils e sul nostro Lorenzo Musetti sono tutto fuorché frutto del caso. Al numero 1 del mondo Novak Djokovic, nei quarti di finale (la prima volta in un Masters 1000), ha addirittura strappato un set. Ma qual è l'”edificio” di Dominik? Dove nasce tennisticamente questo ragazzo, che grazie al meraviglioso torneo romano è approdato in top-70?
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La sua è una storia profondamente atipica: a 14 anni smette praticamente di fare sul serio e si allena solo due volte a settimana, fino ai 18 anni gioca pochissimo ed è solamente il 400esimo nel ranking tedesco. Trova presto la sua forza nell’essere “uno dei tanti”. Il tennis non è ancora una priorità, vuole studiare e ci riesce grazie al suo coach di allora che nel 2012 lo mette in contatto con Tim Booras, esperto Head Coach della Tulane University di New Orleans in Louisiana, college allora in ricostruzione dopo l’uragano Katrina.
L’allenatore americano si trasferisce presto al Blue Weiss Vilingen, dove Dominik si allena e decide di portarselo con sé, nonostante non fosse nemmeno tra i primi 15 fra i giovani tennisti tedeschi: è qui che cambia la sua vita. Alla Tulane, infatti, Dominik inizia ad alzarsi molto presto, si allena due ore in palestra, quattro ore le trascorre in classe per le lezioni di Economia e tre sul campo da tennis.
Nel suo primo anno la Tulane ha un ranking NCAA basso, oltre la 150esima posizione, ed è composta da una squadra modesta. In quest’organico Dominik è solamente il quinto su sei singolaristi, di certo non l’elemento principale. Va meglio dall’anno successivo ed i risultati non tardano ad arrivare. Il “Pitbull” (questo il suo nomignolo) diventa l’uomo cardine del team, entra fra i primi 80 nel ranking individuale NCAA ed inizia a farsi notare. La stagione che tuttavia cambia le sue prospettive e quelle di coloro che lo seguivano alla Tulane, è la terza. Orami dentro la top-20 NCAA è il momento di cimentarsi nei Futures. Il livello c’è, parola dei coach. Inizialmente il ragazzo di Furtwangen è titubante e non pensa di essere ancora pronto, ma il primo punto ATP ottenuto in Austria gli infonde tanta fiducia. Il quarto anno è quello dell’esplosione definitiva, quello in cui diventa il numero 1 negli Stati Uniti, mantiene questa posizione per tutto l’anno e perde solamente con Mackenzie McDonald, un altro di cui presto si sentirà parlare. La ciliegina sulla torta? Ovviamente, la laurea in economia.
Archiviati gli studi Dominik gioca tantissimo a livello ITF: in poco tempo (tra il 2016 ed il 2017) raggiunge la top 400, vince tre tornei in America (due sul cemento e uno su terra) e si costruisce la classifica giusta anche per le prime esperienze a livello Challenger. Gradino dopo gradino, la scalata continua. Nel 2018conclude l’anno in top 200, grazie ad un altro successo ITF in Canada e ben quattro semifinali Challenger; nel 2019 arrivano il titolo sull’erba di Ilkley ed il sopracitato exploit a Flushing Meadows: la top-100 è sempre più vicina.
Quest’anno, nei pochi tornei disputati a causa della pandemia, aveva raccolto poco. Poi, gli Internazionali BNL d’Italia. Una progressione pazzesca, per certi versi inaspettata, ma mai casuale. Su di lui, coach Tim Booras ha detto: “Quando lo portai con me pensai potesse diventare un ottimo giocatore da College ma sinceramente quello che sta facendo è incredibile”. Dominik è un ragazzo di una umiltà incredibile, ascolta tutto ciò che gli viene detto e questo è molto importante. Non si è mai fatto troppe domande, ha seguito il percorso che era stato preparato per lui e, soprattutto, si è fidato subito del sistema americano”. “Inoltre – ha aggiunto Booras – è sempre riuscito a mantenere un grande equilibrio, riuscendo a conciliare perfettamente lo studio con l’impegno tennistico ad alti livelli”. Un “edificio”, tornando alla frase di Sant’Agostino, costruito esclusivamente su un enorme lavoro mentale e su determinate caratteristiche caratteriali? Certamente no. Il bagaglio tecnico di Koepfer è di ottimo livello. Le parole di coach Booras ed in generale l’intera parabola ascendente del ventiseienne tedesco fanno comprendere quanto nello sport ed in generale nella vita si possa raggiungere l’Olimpo senza pensare di poter farne parte. Esserci dentro semplicemente perché lo si è guadagnato con fatica e sudore: questo ci lascia in eredità l’incredibile storia di Dominik Koepfer.
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