La sessione serale degli US Open evoca ricordi non troppo piacevoli a Jannik Sinner, uscito sconfitto a notte fonda sia nel 2022 contro Alcaraz nei quarti che nel 2023 contro Zverev in ottavi. Il numero uno al mondo torna a giocare sotto le luci dell’Arthur Ashe stanotte contro Tommy Paul, beniamino di casa e n°14 del mondo dopo aver toccato anche un best ranking di n°12 lo scorso ottobre.
Classe ’97, Tommy Paul nasce in New Jersey ma come la maggior parte dei suoi colleghi e connazionali si allena a Boca Raton, paradiso della Florida con condizioni ideali per giocare a tennis 12 mesi l’anno senza preoccuparsi del meteo o delle temperature. Una carriera dai due volti quella del tennista a stelle e strisce, già uno dei juniors più quotati quando raggiunse nel 2015 il n°3 della classifica con due finali Slam giocate lo stesso anno, entrambe contro Taylor Fritz: vittoria in tre set al Roland Garros e sconfitta, sempre in tre, proprio agli US Open.
I primi anni di passaggio dal tennis junior a quello professionistico sono complicati, come spesso accade. Arriva qualche risultato di rilievo, come la prima vittoria in un match ATP contro il nostro Paolo Lorenzi nel 2016 a Houston, ma anche tanta incostanza e un paio di vicissitudini con la USTA che lo portano a conquistarsi l’etichetta di ‘Bad Boy’. Nel 2017, dopo aver perso in cinque set contro Taro Daniel sempre a New York, Paul decide di andare a bere qualcosa per dimenticare la sconfitta ma finisce per esagerare. Risultato? Il giorno dopo si presenta ancora con i postumi per un match di doppio con il compagno Steve Johnson finito 6-0 6-0 in favore di Bolelli/Fognini in 35 minuti. Martin Blackman, allora direttore del Player Development USTA, lo obbligò a seguire un programma di sensibilizzazione sull’alcolismo.
Nel 2019 non si presentò a un appuntamento mattutino con un preparatore atletico della USTA, che sfruttò la cosa per una nuova punizione. Niente più allenatori, finanziamenti o wild card: Paul, se vuole arrivare nell’elité, dovrà farcela da solo. Inizia qui la collaborazione con Brad Stine, un incontro che gli cambia totalmente le prospettive di carriera. Entra nei primi 100, poi nella stagione 2020 condizionata dallo stop per covid riesce a solidificare quella classifica e inizia a vincere qualche partita importante contro top-20. La crescita è continua: nel 2021 batte per la prima volta un top-5, si qualifica per i Giochi di Parigi, vince il primo titolo ATP a Stoccolma. E così via, in maniera graduale: nel 2022 arrivano il primo ottavo in uno Slam e la top-30, poi il 2023 inizia con la semifinale agli Australian Open che lo presenta al grande pubblico. Entra in top-15, batte il n°1 al mondo Carlos Alcaraz sul cemento di Toronto e festeggia a fine anno il best ranking. E il 2024 è storia recente: il secondo titolo ATP a Dallas, poi il terzo (e quello più importante) al Queen’s contro Musetti. I quarti a Wimbledon e il bronzo olimpico in doppio con quel Taylor Fritz compagno di tante avventure sin da junior. E ora va a caccia del suo primo quarto di finale nel major di casa, agli US Open.
Ah, senza dimenticare la “passione” per la Lazio. A maggio è andata virale la su conferenza stampa al Foro Italico in cui non riusciva a pronunciare il cognome di Ciro Immobile. A trasmettergli la simpatia è stato Reilly Opelka. “È lui che mi ha fatto cominciare ma non so come sia cominciata per lui – ha dichiarato parlando del collega -. Penso avesse un amico tifoso qui a Roma, credo che per lui sia nato tutto così. Comunque lui è proprio fissato… si chiude nella sua stanza e guarda un sacco di partite”.