
Jannik Sinner - Foto Zhang Haohao/IPA
A ormai circa un mese dall’annuncio dell’accordo tra Jannik Sinner e la WADA per una sospensione di tre mesi, il caso che ha coinvolto il numero uno al mondo del tennis continua a far discutere, anche tra gli addetti ai lavori. Dopo diverse dichiarazioni da parte di portavoci della Wada, ai microfoni dell’agenzia France Press è tornata a parlare anche l’ITIA, ovvero quell’International Tennis Integrity Agency per prima aveva trattato la positività al Clostebol del classe ’01 di Sesto Pusteria e che è sostanzialmente l’agenzia responsabile di far rispettare il Codice Mondiale Antidoping nel tennis.

Le parole del CEO ITIA Karen Moorhouse
“I problemi di comunicazione intorno al caso Sinner hanno forse rivelato una cattiva comprensione delle nostre regole sull’annuncio dei test positivi e delle sospensioni provvisorie: la gente ha creduto erroneamente che stessimo annunciando dei controlli positivi, quando in realtà si trattava di annunciare delle sospensioni provvisorie (vale anche per il caso Swiatek)”, ha spiegato Karen Moorhouse, CEO dell’International Tennis Integrity Agency, a proposito dell’iter che ha portato ad infinite discussioni non solo nel mondo degli appassionati, ma anche negli spogliatoi, con tanti atleti che nel corso di questi mesi si sono professati dubbiosi riguardo la vicenda.
“È certamente complesso trovare il giusto equilibrio tra l’interesse a divulgare un test positivo e l’interesse a tenerlo segreto fino a quando non si è potuta svolgere un’indagine approfondita – ha detto Moorhouse. Alcuni sport decidono di annunciare immediatamente le sospensioni provvisorie, come l’atletica leggera. Altri, in particolare gli sport di squadra, non li annunciano mai. Il tennis ha cercato di trovare un giusto equilibrio con questa regola dei dieci giorni: se qualcuno fa appello entro dieci giorni, e il ricorso viene accolto, il provvedimento non viene reso pubblico. Ma questa è una regola che potrebbe essere modificata”.
“Sinner, nessuna violazione delle regole antidoping”
“Le nostre regole si basano sul Codice mondiale antidoping, che elenca diversi reati che possono essere commessi dall’entourage di un giocatore: medico, allenatore, agente… – dice Moorhouse – Ma la maggior parte dei reati in questione implica l’intenzione (di dopare, ndr). Nel caso Sinner, secondo la consulenza legale che abbiamo ricevuto, non c’era alcuna giustificazione per perseguire penalmente nessuno del suo entourage. Non c’è stata alcuna violazione delle regole del programma antidoping del tennis”.

I casi Swiatek e Halep
Moorhouse ha poi risposto a una domanda anche sulle differenze tra il caso di Iga Swiatek e quello di Simona Halep, squalificata per quattro anni prima di vedersi ridotta la sanzione dopo il ricorso al TAS. Nel caso della polacca ex prima giocatrice del ranking “il test positivo era dovuto a un farmaco contaminato. Per noi, il suo grado di responsabilità era quindi molto limitato – ha analizzato Moorhouse. “Il caso Halep è estremamente complesso, ma alla fine il TAS ha ammesso che il suo controllo era risultato positivo a causa di un integratore contaminato – spiega -. Per determinare il suo grado di responsabilità, hanno preso in considerazione la natura del prodotto incriminato e le precauzioni che la giocatrice aveva preso per cercare di limitare il rischio di contaminazione. Dopo aver valutato i vari fattori in questione, il TAS ha deciso di infliggere una sospensione di nove mesi”.