Il portavoce della Wada, l’Agenzia Mondiale Antidoping, è tornato a parlare del caso legato a Jannik Sinner e la sua positività al Clostebol. Lo scorso 26 settembre la Wada si è appellata al verdetto del tribunale nominato dall’Agenzia Internazionale per l’integrità del tennis (ITIA), secondo cui l’azzurro numero uno del mondo non sarebbe perseguibile “nè per colpa nè per negligenza”. James Fitzgerald però torna alla carica: “La conclusione che porta a nessuna colpa o negligenza non è corretta secondo la Wada – spiega – Come abbiamo dichiarato a settembre, secondo noi serve un periodo di sospensione che vada da uno a due anni senza chiedere la cancellazione di alcun risultato se non quelli imposti già in primo grado. La questione adesso si trova davanti al TAS di Losanna, pertanto non commenteremo ulteriormente.”
Sicuramente le polemiche e le voci di questi mesi hanno portato nuovamente alla ribalta il tema dei protocolli antidoping, con lo scopo di aumentare la chiarezza e soprattutto restringere i tempi dei processi normativi. “Il codice mondiale antidoping è stato rivisto tre volte negli ultimi 20 anni, durante i quali ha protetto lo sport pulito. Una nuova revisione dovrebbe chiudersi alla fine di quest’anno, ogni revisione tiene conto di migliaia di commenti da parte di vari soggetti come atleti, governi, organizzazioni nazionali antidoping, federazioni sportive e altri. Per esempio è grazie agli atleti se ci sono sanzioni più severe contro chi viola le regole, il risultato è che il periodo di sospensione per sostanze non specificate è stato allungato da due a quattro anni.”
Wada: “Regole devono essere robuste, serve trasparenza anche nel rispetto della privacy”
Al netto del caso Sinner, che sicuramente ha portato alla ribalta molte questioni legate all’antidoping, Fitzgerald sottolinea gli sforzi della Wada per cercare sempre una maggiore efficacia. “Siamo meglio attrezzati che mai per affrontare sia la sfide attuali che quelle future – continua il portavoce dell’agenzia mondiale – Vogliamo un equilibrio tra regole facili da comprendere e attuare e regole forti abbastanza da resistere ai tentativi di chi vuole imbrogliare. Privacy? Serve equilibrio anche qui, rispettare le leggi vigenti rimanendo allo stesso tempo trasparenti e rispettando i principi di giustizia naturale.”–
Alla domanda sui cambiamenti alle regole legate ai bassi dosaggi: “E’ una questione reale, legata alle possibili contaminazioni. Ce ne stiamo occupando, è stato creato appositamente il Contaminants Working Group per capire quali sostanze possano essere contaminanti sulla base di prove scientifiche. I limiti minimi comunque sono stati già cambiati nel corso degli ultimi anni per garantire equità agli atleti che assumono una sostanza involontariamente. Il Codice inoltre ha portato ad adottare sanzioni sempre più personalizzate e flessibili, in base alla natura della violazione. E’ una zona complessa e piena di sfumature, la Wada si sforza sempre per trovare il giusto equilibrio tra il bene degli atleti e l’esigenza di uno sport pulito.”
Doping e “maschere” con i bassi dosaggi: “Sostanze devono essere proibite”
Altro tema caldo è quello legato ai bassi dosaggi usati come “maschera” per coprire l’uso di altre sostanze. “E’ risaputo che alcune sostanze possono nascondere l’assunzione di altre. A questa categoria appartengono principalmente i diuretici, ma include anche il probenecid e gli espansori del plasma, nonché sostanze con una struttura chimica simile che alterano i campioni di doping, modificano l’escrezione urinaria o nascondono la presenza di altri agenti dopanti. Queste sostanze devono essere all’interno delle liste delle sostanze proibite, è fondamentale.”
Senza entrare nello specifico del caso Sinner, Fitzgerald risponde anche ai rapporti tra gli atleti e i rispettivi team, ovvero tutte quelle persone che lavorano a stretto contatto con i campioni e le campionesse dello sport. “La correttezza dello sport deve essere sostenuta dal principio della responsabilità oggettiva, è fondamentale. Non si può permettere di scaricare la responsabilità sui team. Se un atleta non spiega da dove proviene la sostanza e come è entrata nell’organismo sarebbe troppo facile per i disonesti sfuggire alle sanzioni. Stiamo sviluppando nuove frontiere per i test e per sviluppare il passaporto biologico di ogni atleta. Vogliamo sfruttare anche l’intelligenza artificiale a nostro vantaggio e collaborare con tutti gli enti quali organizzazioni antidoping, le forze dell’ordine, l’industria farmaceutica, i governi”.