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“Mi sto già allenando, ho solo smesso da qualche giorno. Uno dei miei obiettivi per il 2022 è cercare di finire tra i primi 15. Come ho iniziato? Ricordo che avevo un gruppo di amici nel club con cui mi divertivo molto ad allenarmi, avevo cinque o sei anni. Mio padre era un allenatore e il direttore del mio club, ma non mi sono allenato con lui. Certe domeniche quando lo beccavo a casa gli chiedevo di allenarmi un po’, ma tutto qua. Ero un ragazzo competitivo, mi è sempre piaciuto gareggiare e, beh, a sette, otto o nove anni cominciavo già a competere nei tornei a Murcia e mia madre o mio padre mi portavano, chi poteva”. Si racconta Carlos Alcaraz che a 18 anni deve già gestire il peso del predestinato, muovendosi tra i vari paragoni inevitabili con Nadal. Ma nonostante la giovane età, lo spagnolo ha le idee chiare e mostra già una certa maturità davanti a quello che definisce “lo sport del fallimento”, in “cui devi sapere che fallirai, che perderai e devi imparare da quei fallimenti e da quegli errori in modo che la prossima volta non li ripeterai e migliorerai”. Anche per questo, dice, “lavoro con una psicologa, con Isabel Balaguer, e la verità è che mi sto aiutando molto da un paio d’anni ormai. Non credo che potrei essere dove sono senza di lei. Mi aiuta molto a controllarmi in campo, a controllare le emozioni, che è molto importante”.
C’è tanta voglia di migliorare: “Cerco di guardare molto tennis, anche oggi. Perché guardando imparo e alla fine di ogni partita che guardo so che forse un giorno giocherò contro quel giocatore e non mi coglierà più di sorpresa. Alla fine nel tennis vinci un torneo e il giorno dopo ne inizi un altro, quindi non hai tempo per stare lì a pensarci. Sono un ragazzo ambizioso che vuole sempre di più, quindi ogni volta che vinco un torneo mi dà fiducia per i prossimi”.
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