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“If you can meet with Triumph and Disaster, and treat those two impostors just the same”. Mette i brividi questo estratto della poesia “If” di Rudyar Kipling, il più grande inno di sempre a prendere coscienza di sé stessi. E’ scritto all’ingresso del Campo Centrale di Wimbledon, il tempio sacro dello sport più introspettivo del mondo. L’hanno letto migliaia di giocatori, però solo alcuni sono stati in grado di cogliere l’essenza del messaggio. Fra questi ci sono sicuramente Bjorn Borg e John McEnroe due che, a modo loro, sono riusciti comunque a “incontrare vittoria e sconfitta e a trattarle nello stesso modo”.
Il regista Janus Metz Pedersen ha portato sul grande schermo la loro storia. Le luci, i colori, l’atmosfera. Bastano alcune immagini per sentirsi immediatamente presi per mano e trasformati in coscienze, in grilli parlanti appollaiati sulla spalla dei protagonisti, pronti ad accompagnarli fino all’ultimo 15 della finale dei Championships del 1980, a detta di molti la partita più bella della storia.
Ogni punto è un excursus nell’animo di Bjorn e di John. Desideri, paure, fragilità. Non c’è nulla che non emerga in superficie. Un’infanzia tanto diversa quanto formativa per entrambi è alla base delle loro controverse personalità. La calma glaciale del primo si contrappone al temperamento irriverente del secondo. “Ice vs Fire” titolavano i giornali degli anni settanta. Il pubblico, i media e gli sponsor li vogliono così. Nel film a fare da collante è la cronaca sportiva di due carriere vincenti e avvincenti, che ha visto questi due mostri sacri dalle parti opposte della rete per ben 14 volte in solo quattro anni, con 7 vittorie a testa.
Come nelle migliori rivalità della storia è impossibile evitare di accostare sé stessi ad uno dei due miti. Siamo Borg, che pretendeva ogni anno lo stesso albergo, la stessa stanza, la stessa macchina e curava in maniera maniacale ogni singola racchetta? O siamo McEnroe, guasconi e sfacciati, pronti anche a mettersi contro tutto e tutti pur di vincere?
Sport e vita quotidiana si intrecciano in un tutt’uno dagli effetti sconvolgenti. Il risvolto pratico, ancora una volta, è il valore della “testa”, la gestione delle emozioni. Più degli allenamenti, più delle racchette, più della condizione atletica. Più di tutto.
Parlare, pensare, sognare, perdonare, rischiare, credere sempre in noi stessi con tenacia e perseveranza. “Borg McEnore” ci impone ancora una volta di riflettere su quanto la pace interiore sia più importante di qualsiasi vittoria o sconfitta. Cadere e rialzarsi. Un match point sprecato come metafora delle piccole, grandi delusioni che siamo continuamente costretti ad affrontare. Sta a noi capire come reagire. Restare impassibili o dare in escandescenze. Farci consigliare dai propri cari o trincerarsi nel silenzio di una stanza vuota.
Urlare o sussurrare. Ancora una volta, Borg o McEnroe. Così diversi, così lontani. Rispetto al collega della scrivania accanto, a chi viaggia con noi in treno, al nostro migliore amico. Conoscere e conoscersi. Con un rovescio bimane o un insidioso servizio mancino ad uscire. Borg o McEnroe.