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Se sabato notte dovesse riuscire nell’impresa impossibile di superare Stan Wawrinka (8-3 i precedenti a livello ATP a favore dello svizzero n°4 del seeding), Andreas Seppi diventerebbe il quarto italiano a raggiungere i quarti di finale dell’Australian Open, dopo De Stefani (‘35), Pietrangeli (‘57) ed in tempi più recenti Cristiano Caratti nel 1991.
Mentre in campo femminile il nuovo millennio è stato ricco di trionfi (vedi i titoli Slam di Schiavone e Pennetta) e piazzamenti tra cui proprio i quarti di finale raggiunti nella terra dei canguri in ben quattro occasioni (Serra Zanetti 2002, Schiavone 2011, Errani 2012, Pennetta 2014), tra gli uomini le cose sono andate molto diversamente: non raggiungiamo un quarto Slam dal 2011 con Fognini a Parigi e, andando a ritroso nel tempo, troviamo solo il fantastico Wimbledon ‘98 di Sanguinetti e il Roland Garros ’95 di Furlan, prima dell’exploit di “Carattino”, vezzeggiativo con cui lo chiamava affettuosamente Gianni Clerici.
Ma se Seppi e Caratti sabato potrebbero essere accomunati da questo grande risultato conseguito nell’emisfero australe, è anche vero che i due hanno poco altro in comune, se non una passione smodata per il quinto set: grande regolarità in campo e 12 anni consecutivi nei top 100 per Andreas, un tennis più estroso e d’attacco ed una carriera racchiusa sostanzialmente in dodici mesi per Cristiano.
Nato ad Acqui Termi nel 1970, dotato di un fisico “normale” di 178 cm per 77 kg e di un meraviglioso rovescio ad un mano, dopo una buona carriera a livello junior, inizia a farsi notare nell’estate del 1990 nei tornei americani su cemento, grazie ai quali si guadagna il soprannome di “Caratti kid”: vince il Challenger di Winnetka e raggiunge i quarti all’ATP di New Haven, battendo giocatori del livello di Brad Gilbert (n°6 ATP) e Amos Mansdorf, prima di cedere nei quarti a Chesnokov. Allo Us Open raggiunge il terzo turno ed inizia a flirtare con il quinto set: dopo aver superato Steve Bryan, vince la maratona con Derrick Rostagno, per poi subire la rimonta del numero 14 Jay Berger.
Conclude l’anno al n. 98 del Ranking, vincendo il Challenger di Bossonnens in Svizzera ed inizia il 1991 con il botto nello Slam Australiano, complice anche un tabellone fortunato che non lo vede mai incrociare un top 100: Broderick Dyke e David Engel, battuti in 4 set, e Glenn Layendecker, superato per 7-5 al quinto, sono i non certo memorabili nomi dei primi tre avversari di Caratti. Agli ottavi di finale pesca un giovanissimo Richard Krajicek, imponendosi ancora al quinto set e poi ai quarti spreca l’occasione della vita contro Patrick McEnroe (fratello di John e numero 114 ATP) perdendo 4-6 al quinto, dopo aver recuperato due set di svantaggio: avesse vinto quella partita, sarebbe entrato a pieno titolo nella storia del nostro tennis, dal momento che l’Italia non raggiunge una semifinale Slam al maschile dal 1978.
Sulla scia di questo gran risultato Caratti arriva in finale a Milano battendo tra gli altri Ivan Lendl e in stagione riesce a ottenere altri scalpi eccellenti come Tim Mayotte, Jimmy Connors e Sergi Bruguera sul cemento americano, Henri Leconte, Jonas Svensson e Cedric Pioline su terra e addirittura John McEnroe con doppio tie-break sull’erba di Manchester: il 26 luglio 1991 tocca la posizione numero 26 della classifica, best ranking della sua carriera.
Gli anni successivi sono alquanto opachi: mentre il mondo del tennis va popolandosi di corazzieri, lui resta il “Carattino” del 1991 e, complice anche uno strano virus contratto in oriente non è più competitivo ad altissimi livelli, districandosi soprattutto a livello di Challenger con rare apparizioni in Top 100 e nei tornei del circuito maggiore, senza però perdere il “vizietto” di qualche sgambetto ai top player dell’epoca e a quelli futuri. Stich, Roddick, Edberg ed Ivanisevic al Queens, che precede l’incredibile Wimbledon vinto dal croato nel 2001, sono solo alcune delle vittime di Cristiano in quegli anni.
Ma in fondo noi italiani siamo un po’ così, crolliamo rovinosamente di fronte all’ordinaria amministrazione, ma ci esaltiamo quando l’ostacolo sembra insormontabile e l’algido Seppi, che per dna ben incarna sia regolarità teutonica che sregolatezza latina (leggasi gli 8 top ten battuti in carriera, tra cui Federer proprio a Melbourne 2 anni orsono), ha tutte le carte in regola per addentrarsi con “Carattino” e gli altri pionieri del nostro tennis nelle fasi più calde dello Slam più selvaggio e lontano.