[the_ad id=”10725″]
Domenica 12 novembre prenderanno il via le Nitto Atp Finals 2017, atto conclusivo della stagione tennistica maschile. La O2 Arena di Londra farà da palcoscenico a partite che si preannunciano già di altissimo livello, visti i nomi e le personalità ai nastri di partenza. Tra questi Alexander Zverev, al Masters di fine anno per la prima volta in carriera: di sicuro sarà uno dei protagonisti più attesi.
Classe 1997, nazionalità tedesca ma origini russe (i genitori e suo fratello Mischa emigrarono dall’Unione Sovietica ad Amburgo nel 1991), oggi come oggi parlare di lui o provare a definirlo non è affatto facile. O meglio, è diventato sempre più complicato farlo senza cadere nel superfluo e nel banale. Quante parole spese, quanti “profetici” giudizi pronunciati nei suoi confronti prima e – soprattutto – nell’arco di questo 2017. “Predestinato”, “futuro numero uno”, “the next big thing” (come l’hanno ribattezzato oltreoceano).
Eppure, quante volte è capitato di fare previsioni fin troppo azzardate, esaltare prima e ridefinire poi giocatori che col tempo si sono rivelati “incompiuti” e deludenti, più che vincenti e di successo? Sarà così anche nel suo caso? Possiamo provare a scoprirlo – o meglio, a capirlo – partendo dalle realtà oggettive e soffermandoci su di esse.
Innanzitutto va fatta una constatazione ovvia quanto doverosa: Zverev è un giocatore estremamente talentuoso, che con le sue doti cristalline entusiasma e mette d’accordo un po’ tutti. Nell’intricato ed eterogeneo “groviglio” del tifo tennistico, nel quale si intrecciano differenti passioni, simpatie e punti di vista, non è cosa da poco.
Al talento unisce una grande solidità mentale, quella che potrebbe diventare definitivamente una maturità “da campione”. Dimostra di avere la stoffa giusta, la tigna: molto più rispetto a quanto mostrato finora dai suoi coetanei, ma anche da tantissimi altri che frequentano il circuito da più tempo. L’abbiamo visto benissimo quest’anno, durante tutta una stagione che l’ha visto esprimersi ad altissimi livelli. Cinque titoli su sei finali disputate: due Masters 1000 (gli Internazionali d’Italia e la Rogers Cup), l’Atp 500 di Washington e i 250 di Monaco e Montpellier. Una sfilza di risultati sorprendenti frutto di costanza e fiducia nei propri mezzi, che attestano che può e sa vincere su tutte le superfici.
Così, vittoria dopo vittoria, nel 2017 e ad appena vent’anni Sascha (questo il suo soprannome) si è issato in alto fino alla terza posizione del ranking mondiale. Davanti a lui solo l’inarrivabile tandem costituito da Federer e Nadal. Proprio loro che in più occasioni, con le loro parole – unendosi al giochino delle previsioni su quando e come lui li sorpasserà e “detronizzerà” – hanno attestato ciò che ormai è evidente a tanti: il ragazzo ha un qualcosa in più, caratteristiche e capacità “speciali”. Difficilmente si rivelerà un “fiasco”.
Tutto ciò non è certo frutto del caso, di semplice predestinazione e poco più. Dietro l’ascesa e l’affermazione di Alexander Zverev vi è sì il talento, naturale e innato, ma anche e soprattutto tantissimo lavoro e applicazione. E la famiglia. Una vita spesa sui campi d’allenamento, di fatto sin dalle sue prime ore di vita: grazie ai genitori, e in particolare a mamma Irina, insegnante di tennis, che lo portò con sé al circolo appena quattro giorni dopo il parto. Fu l’inizio di un’infanzia che sarebbe volata via tra il guardare suo fratello crescere e competere tra i junior e i pro, e l’allenarsi da mattina a sera sotto lo sguardo vigile e attento della madre e del padre. Poi la famiglia iniziò a viaggiare unita, al completo, seguendo Misha in ogni angolo del mondo: per Sasha l’occasione di allenarsi col fratello e familiarizzare coi campi centrali di svariati tornei. “Viaggiava con me sin da quando era piccolo, molti anni prima che diventasse professionista”, ha detto Mischa. “Così facendo si è ritrovato in molti campi prima del tempo, ha saltato la fase di introduzione. Quindi non avverte la pressione quando ci scende ora”.
Ma del resto, Alexander arriva prima rispetto a tutte le tabelle di marcia e agli obiettivi che si prefissa. “È sempre stato avanti”, sostiene anche Patricio Apey, il suo agente. “Ogni volta che ci mettiamo a sedere e programmiamo dice: ‘Okay, forse entro la fine di quest’anno potrei raggiungere questo risultato”. Poi va a finire che ci arriva un anno e mezzo prima”. Dall’esterno potrebbe sembrare che la sua crescita in questa stagione sia un avvenimento improvviso, il picco di una carriera precoce. La realtà è che si tratta della naturale e conseguente evoluzione di un programma di sviluppo lungo mesi e mesi che ora sta raggiungendo il suo pieno potenziale.
Chiaro, i margini di miglioramento sono ancora ampi, non potrebbe essere altrimenti per un giocatore che ha appena vent’anni, ancora “NextGen” sebbene ormai già ben inserito nel tennis “dei grandi”.
Dovrebbe migliorare il suo gioco a rete, ancora troppo debole e insicuro (ma in questo una grossa mano potrebbe dargliela il fratello, che al contrario è uno specialista). Così come ha bisogno di crescere ulteriormente in termini di esperienza e tenuta all’interno dei match e dei tornei più importanti. Dando uno sguardo alla sua stagione, non si può infatti sorvolare sulle sue deludenti prestazioni a livello Slam. Risultato migliore? Lo “striminzito” quarto turno agguantato a Wimbledon; per il resto uscite di scena fin troppo premature sia a Melbourne (battuto in cinque set da Nadal, al terzo turno) e a New York (al secondo turno, contro Coric). Vero e proprio disastro a Parigi, dove arrivava fresco di ingresso nella top-10 Atp e forte della vittoria agli Internazionali d’Italia: sconfitto al primo turno dal buon vecchio Verdasco. Fino a quando non riuscirà a dare il meglio di sé nei match al meglio dei cinque set, sarà difficile per lui esprimere completamente il suo tennis e ottenere risultati in linea col suo talento e la sua esplosività. La cosa più saggia da fare è quindi dimenticare velocemente queste sconfitte, e proiettarsi con positività verso il futuro. Come lui stesso ha recentemente dichiarato: “Ogni buon giocatore di tennis ha bisogno di una memoria brevissima, per essere tale”.
Chissà che allora le imminenti Atp Finals non possano essere la perfetta occasione, per Zverev, di dimostrare di essere pronto al “passo successivo”, a fare un definitivo scatto in avanti, a innalzare ancora una volta il suo livello. La contesa sarà agguerrita (già dal round robin, dove se la vedrà contro Federer, Cilic e Sock), ma l’occasione è ghiotta. Tuttavia, anche se non dovesse riuscire a portare a casa il titolo, l’unica questione aperta sul suo conto, a questo punto, è soltanto questa: fra quanto tempo inizierà a dominare il tennis mondiale?