L’Andy Murray che arriva alle Atp Finals di quest’anno è forse quello più tranquillo e rilassato che potessimo conoscere e vedere. Del resto, come dargli torto: sbarca a Londra appena dopo essersi preso la posizione numero 1 del ranking mondiale, al termine di una stagione che definire vincente sarebbe riduttivo.
Il 2016 dello scozzese è stato, senza ombra di dubbio, la sua annata migliore in assoluto; basterebbe citare gli 8 titoli (record personale) conquistati a fronte delle 12 finali giocate, titoli tra i quali brillano magnificamente il successo a Wimbledon e la medaglia d’oro conquistata ai Giochi di Rio, o gli oltre 10 milioni di montepremi guadagnati (per la prima volta in carriera).
Eppure, almeno nei primi mesi dell’anno, la stagione di Andy non sembrava tanto magnifica e trionfale così come la descriviamo adesso.
Per carità, è vero, fa strano definire poco trionfali risultati come la finale raggiunta agli Australian Open (la quinta in carriera, persa – per la quarta volta – contro Novak Djokovic), la semifinale a Montecarlo o la finale a Madrid (in cui è stato battuto, manco a dirlo, sempre da Nole). Ma è indubbio che mancasse sempre qualcosa, specie confrontando il tutto con quello che otteneva il suo amico-rivale serbo, che nel frattempo macinava vittorie su vittorie e faceva suo tutto quello che gli capitava sottomano.
I primi – timidi – segnali di inversione di rotta si sono iniziati a intravedere a partire da metà maggio; è a Roma, infatti, che lo scozzese riesce a battere in finale (nettamente, in due set) proprio quel Djokovic col quale sembrava esserci fin troppa distanza: il titolo agli Internazionali d’Italia (il primo, per lui, del 2016) è il modo migliore per festeggiare il suo ventinovesimo compleanno, nonché un chiaro messaggio d’intenti in vista dell’imminente slam parigino.
Ma ecco che, proprio quando sembravano esserci per lui piccoli spiragli positivi, di miglioramento (almeno contro Nole), è arrivata l’ennesima, cocente delusione: altra finale Slam, altra netta sconfitta contro il serbo (in quattro set, dopo aver vinto il primo).
È forse il momento più duro della stagione, per Andy: da un lato un Djokovic inarrestabile, fresco vincitore dell’unico torneo che ancora non aveva fatto suo e adesso lanciatissimo alla conquista del Grande Slam; dall’altro lui. In mezzo a loro la bellezza di 8035 punti, un’immensità, l’abisso.
E invece, praticamente da allora, come succede solo nelle fantasie più impossibili, Nole non ha più vinto niente tranne l’Open del Canada, Andy invece ha vinto tutto quello che gli è passato sotto mano. Oggi, col senno di poi, possiamo dire che è proprio da lì che Murray è ripartito: da Parigi, da quel “drammatico” 5 giugno ha iniziato a mettere le basi e a costruire i presupposti per la sua risalita e per tutti i successi dei mesi a venire, complice anche il notevole calo del suo storico avversario.
L’impeccabile stagione sull’erba gli ha, di sicuro, dato grande convinzione e forza mentale.
Dapprima il successo al Queen’s (il suo quinto personale), arrivato dopo aver battuto in finale Milos Raonic; poi quello a Wimbledon – il secondo sui campi di Church Road – portato a casa al termine di una cavalcata decisa e sicura, sancita dalla finale vinta in tre set sempre contro il canadese.
Questa ritrovata consapevolezza, se possibile, è diventate ancora più decisiva dopo il successo ai Giochi Olimpici: all’ombra del Cristo Redentor di Rio Andy diventa il primo tennista della storia (sia a livello maschile che femminile) a vincere una medaglia d’oro, in singolare, per più di una volta. Nemmeno un ritrovato Del Potro riesce a fermarlo.
Dopo Rio i trionfi a Pechino, Shanghai, Vienna; nel mezzo tre sole sconfitte, a fronte di 27 partite giocate: in Ohio, a Cincinnati, dove perse in finale contro Cilic; agli Us Open, uscito di scena ai quarti dopo il match (decisosi solo al quinto set) contro Nishikori; infine l’incredibile battaglia contro Del Potro, nella semifinale di Coppa Davis, perso sempre al quinto set.
La striscia vincente di 15 partite – inaugurata proprio dopo la sconfitta contro l’argentino – incrociata con le sorprendenti e talvolta premature uscite di scena di Djokovic, l’ha portato ad avere concrete chances di diventare il nuovo numero 1 Atp già a Parigi, al Master 1000 di Bercy.
Ed è proprio là che si compie l’impensabile, che si concretizza quella che sembrava, fino a poche settimane prima, un’utopia. Utopia che oggi ha il sapore della chiusura del cerchio: dalla Parigi del Roland Garros alla Parigi di Bercy, da quel 5 giugno 2016 al 5 novembre 2016, sono trascorsi (e bastati) appena 5 mesi per l’incoronazione e definitiva consacrazione di Andy, che è diventato il 26° numero 1 Atp, il primo britannico capace di arrivare alla prima posizione del ranking (dal 1973 ad oggi).
Certo, la situazione è ancora apertissima: solo al termine del Master londinese si saprà chi, tra Murray e Djokovic, sarà il vero numero 1 dell’anno. Lo scozzese arriva a Londra con 405 punti di vantaggio che però non serviranno a conservare la vetta in caso Djokovic vinca alla O2 Arena senza perdere neppure un match nella prima fase a gironi.
E ad attendere il britannico vi è una prova sicuramente più difficile di quella del suo collega, almeno sulla carta. A partire dal girone. Considerando anche la sua poco positiva tradizione nell’ultimo appuntamento della stagione: su 7 partecipazioni alle Finals di fine anno (quest’anno sarà l’ottava) ha raggiunto le semifinali soltanto in tre occasioni, senza mai spingersi oltre: “Sono sempre andato a Londra con l’obiettivo di fare bene, ma non ci sono mai riuscito completamente, ho subito un paio di sconfitte dure negli ultimi anni. Ad esempio contro Rafa, nella semifinale del 2014” ha dichiarato Murray recentemente, continuando: “È stato un grande anno, voglio concluderlo nel modo migliore possibile. Sinceramente non sto pensando tanto a finire la stagione da numero 1 del mondo. Voglio solo giocare bene alla O2 Arena. Raramente ho giocato bene lì, voglio cambiare questa tendenza.”
Sicuramente potrà contare sul forte sostegno del pubblico di casa, nonché sul fatto che ha un record positivo contro tutti i giocatori presenti, eccezion fatta per Djokovic (col quale è in svantaggio 10 a 24): 9-7 con Wawrinka, 8-3 con Raonic (5-0 quest’anno), 7-2 con Nishikori, 4-2 con Monfils, 11-3 con Cilic e 2 a 0 con Thiem.
Inoltre, con Ivan Lendl e Jamie Delgado (suo buon amico) a bordo campo alla O2 Arena, nulla sarà lasciato al caso; sarà artefice del suo stesso destino, tutto è nelle sue mani: vincendo il titolo sarà certo di finire l’anno da n°1.
E forse allora rivedremo, sul viso di Andy, un sorriso bello almeno quanto quello sfoggiato a Bercy, dopo il raggiungimento della vetta. È raro vederlo gioire troppo, sorridente: l’augurio è che possa farlo ancora tanto e a lungo.