L’incognita più grande di questa edizione delle Finals è, paradossalmente, il giocatore che rappresentava l’unica certezza assoluta del circuito fino a pochi mesi fa: Novak Djokovic. Il detentore del titolo, per la prima volta dopo tre anni, si presenta alla kermesse londinese da numero 2 del mondo, dopo essere stato spodestato dal trono delle classifiche mondiali proprio pochi giorni fa, in seguito a 122 settimane consecutive di dominio. La stagione del campione di Belgrado può avere il proprio discrimine nella finale del Roland Garros dello scorso 5 giugno, vinta proprio contro colui che l’ha sostituito in vetta al ranking, Andy Murray: dopo la conquista, la prima in carriera, dello Slam parigino, è come se qualcosa si fosse inceppato nella macchina da guerra che il giocatore balcanico è stato in grado di rappresentare nei primi cinque mesi di questo 2016. Il computo di ben quarantasette vittorie, a fronte di tre sole sconfitte, fino a quel punto, aveva praticamente reso il ventinovenne serbo il tennista perfetto, in grado di abbattere qualsiasi ostacolo che gli si presentasse davanti.
Un record dopo l’altro, sei titoli vinti su nove tornei disputati, tra cui due Major e tre Masters 1000 (Indian Wells, Miami e Madrid), un vero e proprio incubo per qualsiasi avversario: chiedere, ad esempio, al giapponese Kei Nishikori, sempre battuto nei cinque confronti diretti tra i due quest’anno. La domanda frequente, dopo il trionfo sul rosso più prestigioso del globo, tennisticamente parlando, era la seguente: per quanto tempo, ancora, Novak Djokovic continuerà a sostenere questi ritmi? La risposta al quesito la fornisce un gigante californiano poche settimane più tardi: a suon di ace e di prime devastanti, lo statunitense Sam Querrey demolisce infatti il protagonista del nostro racconto al terzo turno di Wimbledon, facendolo improvvisamente tornare sul pianeta terra e conferendogli nuovamente sembianze umane. È il momento più difficile della stagione per il numero 1 del mondo: l’atteggiamento mostrato sull’erba di Church Road non è dei migliori, solo due mesi dopo rivelerà a tal proposito di avere avuto “problemi personali”, poi risolti, ma mai chiaramente esplicitati.
Prova tuttavia a ritrovare se stesso a Toronto, aggiudicandosi la quarta Rogers Cup in carriera, addirittura senza cedere un parziale nell’arco di tutta la settimana: nonostante ciò, qualcosa è cambiato, è evidente, nulla è più come prima. Anche la dea bendata, fino a quel punto benevola, decide di giocargli un brutto scherzo: all’esordio dei Giochi Olimpici di Rio trova infatti lo sfidante peggiore che potesse pescare, l’argentino Juan Martin Del Potro, che lo elimina in due tie-break; adesso, però, i problemi sono anche di natura fisica. È infatti costretto, per via di un fastidio al polso, a dare forfait al Masters 1000 di Cincinnati, dove difendeva la finale dell’anno precedente. Nole si presenta così, tra mille interrogativi, al quarto e ultimo appuntamento Slam dell’anno, gli US Open: dopo avere giocato solamente quattro set nei primi tre round, supera Edmund agli ottavi e approfitta del ritiro di Tsonga ai quarti, quando conduceva di due parziali; batte agevolmente Gael Monfils nel penultimo atto, ma in finale è ancora una volta uno straordinario Stan Wawrinka, come a Parigi nel 2015, a negargli la gioia del tredicesimo titolo Slam.
Decide di non andare a Pechino per problemi al gomito, raggiunge dunque la semifinale a Shanghai, dove viene eliminato con un doppio 6-4 da Bautista-Agut: è forse la tournèe asiatica peggiore degli ultimi cinque anni per il serbo, che continua a perdere punti preziosi e sente sempre più vicino lo spettro del sorpasso da parte di Andy Murray. Sorpasso in vetta al ranking che si concretizza sul veloce indoor di Parigi Bercy, torneo che è proprio il britannico a conquistare e che vede Djokovic perdere da Marin Cilic ai quarti, per la prima volta su tredici sfide col croato. Le incognite di cui si parlava inizialmente sono tante e piuttosto forti: il sei volte campione degli Australian Open, che quest’anno ha tuttavia completato, grazie al Roland Garros, il cosiddetto Career Grand Slam, è alla sua decima partecipazione al Masters di fine anno. Una competizione a cui è particolarmente legato, che ha avuto modo di vincere in ben cinque occasioni e, consecutivamente, nelle ultime quattro edizioni: probabilmente, a differenza delle stagioni passate, non è più lui il favorito, nemmeno l’uomo da battere. Bisognerà capire se questo potrà essere d’aiuto a Novak Djokovic: se, dunque, privo di tale responsabilità, potrebbe tornare ad esprimersi ai massimi livelli, o se gli ultimi risultati sono stati un arrivederci anticipato al 2017.