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Manca pochissimo all’apertura delle danze tennistiche sul campo luccicante dell’avveniristica O2 Arena, immersa nella City londinese, dove si terrà ancora una volta il Gran Galà di fine stagione anche conosciuto come Atp World Tour Finals. Se la trepidante attesa dei tifosi è forse un po’ smorzata dalle assenze dei più amati, Federer e Nadal, quella del sesto giocatore ad essersi qualificato è a livelli da bambino alla vigilia di Natale. Parliamo di Gael Monfils, che a trent’anni compiuti da poco ha raggiunto uno dei traguardi più prestigiosi della sua carriera all’insegna dell’estro tennistico, ma anche dei rimpianti. Se c’è una parola che abbinata a questa carriera risulta stonata, è proprio “finals”, finali. Il franco caraibico e le finali non sono mai andati d’accordo. Da quando è nel circuito maggiore (11 anni) ne ha raggiunte ben venticinque; fin qui tutto bene, purtroppo per lui, però, è riuscito a convertirne in successi solamente sei: una percentuale di realizzazione del 24% che non può essere frutto del caso. E nel 2016 di Monfils nulla sembrerebbe essere cambiato in quest’ottica: ha raggiunto tre finali, continuando la striscia non indifferente, che va avanti dal 2005, di almeno una all’anno, ma ne ha conquistata solamente una, quella dell’Atp 500 di Washington.
Qualcosa è cambiato invece, perché “LaMonf” ha disputato una stagione di alto profilo, trovando una continuità di risultati importanti per lui del tutto inedita, che lo ha portato appunto a qualificarsi alle finals per la prima volta, nonostante sia stato il giocatore tra i top-15 ad aver disputato meno tornei (17) se si escludono i primi due, Murray e Djokovic (16). Per far ciò il nativo di Parigi ha dovuto ovviamente attuare una programmazione da top-player, formata quasi esclusivamente dai grandi tornei, senza dare veramente spazio a quegli Atp 250 a cui aveva spesso accondisceso. A cosa è dovuto questo cambiamento? Sicuramente ad una certa maturità che, raggiunti i trent’anni, dovrà instillarsi anche nella mente di un funambolo della racchetta come lui, che non ha mai fatto dell’assennatezza il suo mantra, sia in campo che fuori. Impossibile, però, non ritenere coartefice di questa metamorfosi Mikael Tillstrom, il coach svedese a cui Gael si è legato sul finire della passata stagione. “Good To Great” è il nome dell’accademia fondata da Magnus Norman, di cui fa parte lo stesso Tillstrom, e vedendo l’effetto che gli insegnamenti scandinavi hanno avuto su Stan Wawrinka in primis, ma anche su Grigor Dimitrov nel periodo in cui si affidò a Tillstrom, c’è da scommettere che abbiano permesso a Monfils di compiere i primi decisi passi verso questa decantata “Greatness”. Nel 2016 del francese è difficile individuare una vera e propria debacle, le poche sconfitte precoci o imprevedibili che ha sofferto sono state sempre più o meno influenzate da quegli acciacchi fisici che non hanno mai smesso di accompagnarlo in carriera, e come potrebbero quando sul campo sei disposto a fare il gatto a ogni punto che giochi? Anche qui, però, “LaMonf” ha dimostrato una nuova maturità , perché gli deve essere pesato non poco dare forfait nel suo torneo preferito, quel Masters di Parigi dove ha ottenuto due delle sue tre finali al livello dei Maestri. Tuttavia, saggiamente, l’ha fatto, così da poter risolvere del tutto il recente fastidio alle costole e arrivare al meglio alle Finals. Gli highlights della sua brillante stagione sono diversi, e cominciano dalle origini, dove ha prima conquistato i quarti agli Australian Open e poi raggiunto la finale nell’Atp 500 di Rotterdam, persa da un Martin Klizan illuminato; in mezzo, una delle poche sconfitte inaspettate, quella inferta da Roger-Vasselin all’esordio nel 250 di Montpellier, torneo vinto due volte dal francese. Poi, i Masters americani, dove ha piazzato altri due quarti di finale. Sul “rosso”, che come raramente accaduto ha riservato nel 2016 ben pochi fuochi d’artificio agli appassionati, Gael non ha fatto mancare il suo apporto allo spettacolo, regalando al pubblico due delle partite su terra battuta più belle dell’anno: la prima contro Nadal, nella finale di Monte Carlo raggiunta grazie a un percorso infallibile nel torneo, e ceduta dopo una grande lotta al miglior Rafa della stagione; l’altra, nel secondo turno di Madrid, contro l’ottimo Pablo Cuevas, che forse proprio in quel match ha concentrato il miglior tennis della sua stagione, grazie a cui si è imposto al fotofinish. Da quel momento è arrivata la sfortuna: a causa di uno strano virus destabilizzante è stato costretto a lasciare subito il Foro Italico e poi a dover dolorosamente rinunciare allo Slam di casa, il Roland Garros. Il rientro non è stato dei migliori, ai Championships senza alcuna partita di preparazione su erba alle spalle, facendolo quindi uscire di scena al primo turno per mano del connazionale Jeremy Chardy. Ci è voluto poco tempo, tuttavia, e una ritrovata condizione fisica, per tornare ai nuovi standard, perché il francese si è poi subito imposto a Washington, dove è riuscito nella non indifferente impresa di breakkare, a un passo dal precipizio, Ivo Karlovic, annullandogli un match point e mettendo così in bacheca il torneo più prestigioso della carriera. L’estate americana è proseguita con la semi nel Masters di Toronto, fermato solo dal numero 1 Novak Djokovic, e i quarti alle Olimpiadi di Rio, dove si è arreso per un pelo a Kei Nishikori, esattamente come a Miami. Ecco, è sulle battaglie decise al fil di lana, forse, che Gael dovrà migliorare per fare un ulteriore passo avanti. Il meglio, però, Monfils l’ha lasciato all’Arthur Ashe Stadium di New York, campo il cui nome onora proprio la memoria del suo idolo tennistico. Agli US Open è arrivato ancora un percorso netto, senza cedere nemmeno un set come a Monte Carlo, ma ancor più degno di nota giocandosi al meglio dei 5 set, figuriamoci per un giocatore che non ha mai lesinato nel fare regalini agli avversari. A fare da guasta feste ci ha pensato ancora la bestia nera, sua e di molti altri, Djokovic (0-13 i precedenti), verso cui il transalpino ha ammesso recentemente di avere un blocco psicologico; ciò non gli ha impedito tuttavia di eguagliare il suo miglior risultato Slam, la semifinale ottenuta al Roland Garros nel 2008. Quest’ultimo match con Nole ha anche fatto tornare a parlare di Monfils in maniera controversa per via dei primi due set in cui il francese ha messo in campo uno stile di gioco “alternativo”, col fine conclamato e in parte riuscito di innervosire il serbo. Su di lui si sono scagliate le critiche di tanti addetti ai lavori, vedasi John McEnroe, ma Gael non si è fatto intimidire. L’ultima parte di stagione non è stata entusiasmante, complice l’ennesimo infortunio al ginocchio che gi ha consentito di giocare solo tre tornei dopo Flushing Meadows. Il coronamento della stagione è comunque arrivato proprio questa settimana, con il best ranking di numero 6 del mondo, lui che era stato al 7 nel 2011.
Il futuro prossimo vede dunque le Finals alle porte, e non si può certo dire che il sorteggio dei gironi abbia avuto un occhio di riguardo per LaMonf, sulla sua strada ci sarà infatti ancora Nole. Oltre a lui, neanche a farlo apposta, un altro avversario sofferto nel 2016, Milos Raonic, che ha fermato la sua corsa nei quarti di finale sia a Melbourne che a Indian Wells; in ultimo l’altro neofita delle Finals, Dominic Thiem, contro cui Gael ha perso l’unico precedente. In questi giorni il numero sei del mondo ha rassicurato i tifosi dichiarandosi molto vicino alla sua miglior condizione e pronto a dare battaglia, non accontentandosi certo di una bella figura. “Le persone dimenticano che anche noi tennisti cresciamo“, ha detto ai giornalisti come per correggerli, riferendosi ai suoi recenti miglioramenti. In effetti spesso si tende a dimenticare che dietro ad ogni atleta c’è sempre un uomo con il proprio percorso di crescita psicologico; probabilmente in pochi credevano che un giocatore un po’ folle e infantile come il francese sarebbe cambiato dopo dieci anni di circuito, invece eccoci di fronte al Monfils 2.0, la versione (quasi) adulta di quel bambino che ci ha fatto drizzare tante volte i capelli di fronte alle sue acrobazie spericolate. L’importante, è che continui a divertirsi in campo come ha sempre fatto, perché il suo tennis unico di invenzioni e recuperi impossibili, quello dobbiamo augurarci non cambi mai. Magari non sarà in questo torneo da “underdog” che Gael farà pace con le finali, ma qualsiasi sarà l’epilogo, lui, lo spettacolo lo offrirà . Possiamo starne certi.