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Diciamoci la verità. L’unico motivo per cui l’appena conclusa edizione del Master avrebbe potuto essere ricordata prevedeva Novak Djokovic e Andy Murray in lotta per il numero 1 del mondo. L’assenza di Roger Federer e Rafael Nadal era già di per sé un peso insostenibile da sopportare. Se a ciò aggiungiamo che Wawrinka e Monfils, i due che avrebbero potuto aumentare spettacolo e suspense, erano ben distanti dalla loro miglior condizione, si evince che l’edizione del 2016 non poteva che aggrapparsi alla lotta per il trono. Contesa che tra l’altro aveva un solo e grande favorito. Per quanto visto in questi ultimi mesi, infatti, in pochissimi pensavano che Djokovic potesse riprendersi lo scettro. Troppo “on fire” lo scozzese e troppo spento il serbo. E, nonostante Djokovic arrivasse da due allenamenti agonistici, mentre Murray da due autentiche maratone (record di durata al meglio dei tre set nelle Atp Finals), il risultato della finale non è parso in bilico neanche per un secondo. L’ennesimo esempio di come il fattore mentale stia diventando sempre più determinante nel tennis moderno? La risposta non può che essere affermativa, considerando soprattutto qual era la situazione al vertice non più tardi di cinque mesi fa.
Nole dominava su ogni superficie in lungo e in largo, lasciando le briciole al “povero” Andy, che sembrava destinato a candidarsi al titolo di numero due più forte e vincente della storia. A cavallo tra Roma e Parigi però è probabilmente successo quel qualcosa che ha portato a una inaspettata inversione di tendenza. Grazie al successo al Foro Italico, nonostante sia uscito sconfitto dalla finale del Roland Garros, lo scozzese si è reso conto di essere sempre più vicino al rivale, anche sulla superficie a lui meno congeniale. Di contro il serbo è stato completamente svuotato dal successo nell’ultimo Slam che gli mancava, perdendo progressivamente tutta quella sicurezza nei propri mezzi che lo avevano reso pressoché imbattibile.
È stato molto interessante osservare come questi stati mentali abbiano influenzato l’approccio alla partita e le scelte che i giocatori hanno effettuato a Londra. Dopo il brutto primo set perso contro Thiem, i risultati suggerivano un Djokovic in grande crescita. È bastato però che dall’altra parte della rete ci fosse colui il quale lo ha attualmente superato in quanto a solidità e forza mentale, che il suo rendimento precipitasse vertiginosamente. Murray invece nel match contro Raonic è incappato in una di quelle giornate in cui si affida eccessivamente alle sue doti di difensore. L’attendismo, ed una discreta dose di “braccino”, lo hanno portato a essere a un passo da una clamorosa sconfitta. È stato a quel punto che tutta la fiducia accumulata in questi mesi gli ha permesso di ritrovare il coraggio necessario per andarsi a “prendere la partita”.
In finale, come detto, lo si poteva aspettare comprensibilmente stanco fisicamente e mentalmente, dopo una stagione massacrante e contro un avversario contro il quale i precedenti recitavano 10 a 24. Murray però sapeva di avere di fronte un leone ferito nella mente, ed ha sfruttato splendidamente questa situazione. È stato da subito più aggressivo, facendo “sentire” all’avversario di non essere stanco e di sentirsi superiore. È sembrato quasi voler dimostrare anche all’avversario di meritarsi il trono, nonostante il serbo avesse vinto più Slam e più scontri diretti nel corso dell’anno.
Va in archivio così una stagione che sembrava avviata ad essere la più monotona della storia e che invece ha subito un’inversione di tendenza brusca quanto inaspettata. Cosa succederà ora? Inizierà l’era Murray? O Djokovic riuscirà a ricaricare le batterie e tornare quello degli ultimi anni? Riusciranno i vari Raonic, Nishikori, Thiem a compiere il definitivo salto di qualità che gli permetta di raggiungere la coppia di testa? Saranno in grado, per la gioia dei fan, Federer e Nadal di tornare quelli di un tempo? Cosa combineranno Wawrinka e soprattutto Del Potro? I presupposti perché la stagione che ci apprestiamo a seguire diventi una delle più interessanti ed imprevedibili degli ultimi anni ci sono tutti. Non ci resta che attendere le notti australiane per i primi responsi, senza però dimenticare che, come direbbe l’eterno Giovanni Trapattoni, non bisogna mai dire gatto finché non lo si ha nel sacco.
L’impressione è che Andy Murray sia destinato a rimanere sul trono, anche se difficilmente dominerà come fatto in epoche diverse dagli altri tre. A Novak Djokovic servirà qualcosa di più dell’intervento di un guru, mentre rivedere al top Federer e Nadal è più una speranza che un’idea. Potrebbe anche esserci finalmente una sorpresa che di nome non fa Stan (quanto sarebbe romantico fosse argentina), ma per il trono i nomi sembrano essere ancora quei due.