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Una storia che parte da lontano, tra le montagne innevate della Val Pusteria. Un ragazzo docile, timido e con una spiccata vocazione. Una storia non convenzionale, di quelle che sembrano scritte per essere raccontate, di quelle destinate a rimanere impresse. Jannik Sinner, 18 anni da poco compiuti, è indiscutibilmente la nuova stella del tennis italiano e mondiale. Nato a San Candido da mamma Sieglinde e papà Hanspeter, il giovane altoatesino, dapprima promessa dello slalom gigante, muove i primi passi su un campo da tennis nel circolo di zona, con la cadenza di due volte alla settimana.
A 13 anni, come tanti ragazzi della sua età, Jannik si trova presto ad un bivio: puntare tutto sullo sci o trasformare il tennis in qualcosa di più di un semplice hobby. Una scelta quantomai ardua quando si è portati per natura a molteplici attività agonistiche. Lo sa bene Andrea Spizzica, ex giocatore e coach romano che insieme a Hebi Mayr è stato uno dei primi maestri che ha avuto l’onore, e l’onere, di avere tra le mani un talento così cristallino. Raggiunto in esclusiva da Sportface.it, Andrea ci racconta la genesi del “progetto Sinner”, tra aneddoti, curiosità e racconti a poche ore dall’esordio alle Next Gen Atp Finals di Milano.
Andrea, insieme a Mayr hai seguito Jannik nei primi anni di attività.
“Sì, tutto è iniziato parecchi anni fa. Il primo anno in cui arrivai a Brunico, Hebi (Mayr, ndr) mi segnalò questo ragazzino di 7 anni. Ci giocai nonostante io non parlassi una parola di tedesco e lui una parola di italiano, finimmo quell’ora e da lì cominciò il nostro rapporto. Inizialmente Jannik giocava poco, si divideva tra il tennis e lo sci e quindi il nostro obiettivo principale divenne presto fargli scegliere il tennis. È stato un lavoro certosino, se si può definire anche “sporco” perché io e Heri abbiamo fatto tanti sacrifici in tal senso. Dovevamo dargli un contenuto tale da renderlo forte tanto quanto lo era con gli sci ai piedi. Non è stato facile, ma è stata la vittoria più grande”.
Si intravedeva già il suo potenziale?
“A dire la verità no, non a questi livelli almeno. Pian piano sto rivalutando il percorso di Jannik, lui è arrivato a 14 anni “fresco” essendosi allenato solo due volte a settimana e questo fa di lui un caso raro. Aveva ottenuto comunque buoni risultati nei Nazionali Under, ma sia a livello atletico che fisico era indietro rispetto a chi si allenava di più”.
Quali sono stati gli aspetti su cui vi siete focalizzati a livello tecnico-tattico?
“Quello che più balzava all’occhio era il timing sulla palla. È stato facile per noi indirizzarlo ad un gioco offensivo, cercando di fargli tenere i piedi dentro il campo. Ricordo che a 12 anni andava in difficoltà con i ragazzi più strutturati di lui, che con maggiori rotazioni riuscivano a tenerlo lontano dalla riga di fondo. Lui ci ha sempre seguito, anche quando ad un raduno per la nazionale un maestro lo criticò perché a sua detta non sapeva “fare due palleggi” per via del suo gioco ritenuto eccessivamente votato all’attacco. In quel caso lui mi mandò un messaggio dicendomi che non gli importava di ciò che quel maestro sosteneva, e che avrebbe continuato per la strada intrapresa. Anche da piccolo aveva le idee chiare”.
Raccontaci un aneddoto legato alla sua esperienza come tuo allievo.
“Al di là del primo nostro incontro in cui parlavamo a gesti (ride, ndr), ricordo un torneo di doppio giocato con Jannik in cui arrivammo in semifinale. Ovviamente era teso perché giocava con il suo maestro, il primo set andò via facile per i nostri avversari, un signore di 40 anni quarta categoria ed Holzer, un’ottima seconda categoria che aveva una velocità di palla fuori dal normale. Dopo lo scotto del primo set dissi a Jannik di fare due passi dentro al campo in risposta: da lì cominciò ad impattare in maniera incredibile col rovescio, tenendo la diagonale in maniera spaventosa. Era un 12enne di circa 50 chili opposto ad un 2.1. Perdemmo quel match al super tie-break, ma in quell’occasione mi impressionò”.
Nell’estate del 2014 il passaggio a Bordighera. Cosa ne pensi del suo attuale Team? Riccardo Piatti ed i suoi collaboratori sono sinonimo di garanzia.
“Certamente è in buone mani, Riccardo fa tirare fuori il massimo dai propri giocatori. Da quando è in mano a Piatti e ai suoi collaboratori Jannik è migliorato sotto tanti aspetti, soprattutto nel dritto nonostante non sia ancora a livello del rovescio. Ha tempo per lavorare, anche il servizio può diventare un’arma devastante”.
Parliamo dall’ascesa in termini di classifica. Ad inizio anno tanti tornei Futures, poi la svolta nel Challenger di Bergamo.
“È stato tutto molto rapido, ad inizio anno faticava nei Futures, poi è successo qualcosa di incredibile. A Bergamo in ogni match ha alzato il livello fino ad aggiudicarsi il titolo, ma in realtà ciò che mi ha più stupito è stata la conquista del torneo di Trento della settimana dopo: è riuscito a ripetersi in un torneo minore e a rimanere coi piedi ben saldi a terra, non è scontato per un ragazzo giovane non abituato a vincere. Non mi aspettavo entrasse nei primi 100 già quest’anno”.
Quanto ha influito il bypassare lo step Junior? Confrontarsi subito con il professionismo in questi casi si è rivelata una mossa vincente.
“Condivido in pieno la scelta della programmazione. Secondo me è la strada giusta, in questo caso si è rivelata più vincente che mai perché Jannik ha una maturità che non tutti hanno”.
Per concludere, dove può spingersi in queste Next Gen ATP Finals?
“Jannik non ha più limiti. Gioca in Italia e lui è convinto dentro di sé di essere un predestinato. Può succedere di tutto”.
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