“Il tennis mi ha insegnato che il lavoro paga, è una grandissima scuola di vita. Porta a conoscere i lati più belli ma anche più oscuri di te stesso, le tue lacune, le debolezze, i punti di forza. Il tennis mi ha formato come persona, mi ha dato disciplina; gli devo tantissimo, nonostante i momenti di buio non siano mancati. Sono due anni che rifletto sulla scelta di ritirarmi: il fisico mi ha dato tanti problemi, i risultati erano sempre meno importanti e poi c’è mio figlio Lorenzo con cui voglio passare del tempo di qualità. Smetto col sorriso, è la decisione giusta”. Alessandro Giannessi, dopo una bellissima carriera, appende la racchetta al chiodo. Classe 1990, best ranking al numero 84 ATP nel 2017, ‘Gianna’ è il miglior prodotto tennistico creato dal centro tecnico federale di Tirrenia. Giancarlo Palumbo, Renzo Furlan, Gabrio Castrichella, Eduardo Infantino, lo hanno cresciuto; nelle ultime stagioni sono stati Flavio Cipolla, Ruben Ramirez Hidalgo e Pietro Rondoni (con una breve parentesi targata Cristian Brandi) a fargli da coach. Alessandro è stato un lottatore straordinario, il re delle maratone. “È un vulcano, un mostro di simpatia, energia, felicità. È solare, gioioso, il suo entusiasmo contagia tutti – spiega Marco Panichi, oggi preparatore fisico di Jannik Sinner che in passato ha seguito anche Giannessi -. In campo è stato altalenante. Non ricordo suoi match terminati 6-2 6-3, erano tutte epiche battaglie. Quando vinceva facilmente, era capace di crearsi dei problemi; ma era anche in grado di ribaltare situazioni disperate con giocatori molto forti. Secondo me non ha espresso pienamente tutte le sue potenzialità, ma è indubbio che abbia vissuto una grande carriera”. Anche Flavio Cipolla, oggi allenatore di Daria Kasatkina, ha speso parole importanti per il suo ex allievo. “Ho lavorato due anni con ‘Gianna’ e la nostra amicizia è ancora molto forte. È un ragazzo speciale, che sta simpatico a tutti, ha la capacità di fare gruppo e portare buonumore. È stato un lottatore eccezionale: match infiniti e tantissime emozioni. La durata media dei suoi incontri? Due ore… a set!”.
GLI INIZI. Francesco e Marco, più grandi di Ale, giocano e si destreggiano già con la racchetta al Circolo Tennis Spezia. Papà Giovanni è socio, il piccolo cresce in culla al circolo, mamma Brunella sa già che anche il destino di Alessandro è segnato. “Anche se in realtà ho cominciato a giocare a 8 anni e a 11 ero già tra i migliori d’Italia”. Nella categoria under 12 Alessandro è tra i più forti: gioca e vince. Arrivano i tornei all’estero e le prime piccole e grandi soddisfazioni. I suoi coetanei sono Erik Crepaldi, Davide Della Tommasina (oggi tra i coach di Vavassori), Daniele Piludu, Lorenzo Papasidero, Giorgio Portaluri, Enrico Fioravante. Alcuni di loro vivranno al fianco di Giannessi il percorso federale. Il futuro di Alessandro è il centro tecnico di Tirrenia, dove vivrà e si costruirà come giocatore sin dal 2004. “Avevo 14 anni ma, per fortuna, ero a 50 minuti da casa e durante i weekend potevo tornare e passare del tempo con la famiglia e gli amici. Altri ragazzi hanno sofferto maggiormente questa situazione. All’epoca, infatti, il sistema era diverso da quello attuale. Era una scelta di vita”. Un tempo a Tirrenia erano ammessi solamente gli ‘interni’, mentre oggi molti professionisti passano nel centro federale per alcune settimane di allenamento insieme ai propri team. “Sono stati anni molto belli, quando ripenso a Tirrenia mi tornano alla mente immagini positive, ci allenavamo con spensieratezza”.
DA RAGAZZO A UOMO. Il 2006 si chiude con Giannessi al numero 1 d’Europa nella categoria under 16 e con ben 5 italiani tra i primi 12. Da under 18, poi, raggiunge il numero 36 al mondo. “Che ricordi, iniziavo a scoprire il mondo, la prima volta a New York. Agli US Open avevo seguito dal vivo un terzo turno assurdo tra Flavio Cipolla, che anni dopo sarebbe diventato il mio coach, e Stan Wawrinka (vinse lo svizzero 6-4 al quinto set; ndr). E poi Wimbledon, dove scaldai Nadal prima della sua semifinale”. Alessandro prende fiato, si emoziona. “Ero tesissimo, arrivai ad Aorangi Park 50 minuti prima dell’allenamento; ovviamente non c’era nessuno. Poi pian piano vidi arrivare un sacco di gente, saranno stati duemila gli spettatori giunti per seguire il warm-up di Rafa. Nadal fu gentilissimo, mi mise subito a mio agio, ma durante i primi colpi mi tremava il braccio. Anche perché tirava delle bombe incredibili sul mio rovescio, su erba…”.
LE PRIME VOLTE. Il primo match da professionista arriva sempre in quel 2006, quando Alessandro non ha ancora compiuto sedici anni. La scena è il Futures di Cremona, l’avversario il tedesco Matthias Bachinger, uno che qualche anno dopo si sarebbe spinto sino al numero 85 del mondo. ‘Gianna’ porta a casa due game e tanta esperienza. “Ricordo invece bene il primo match Challenger della mia vita, che giocai l’anno dopo a Cordenons contro Sidorenko. Avevo giocato bene, tenevo il suo ritmo. Mi dissi ‘ok, posso provare a fare il tennista”. La prima vittoria da ‘pro’ arriva nel 2008 nelle qualificazioni del Futures romano del CT Eur, dove Alessandro supera Marco Guida 6-2 4-6 7-5. Indossa una vistosa ginocchiera, serve bene e di diritto tira delle catenate impressionanti, pesanti e potenti; il rovescio, d’altra parte, appare deficitario. “In quel periodo il tendine rotuleo mi faceva spesso male, ero cresciuto in altezza molti centimetri in pochi mesi e il corpo ne aveva risentito”. Nel mese di ottobre del 2008, a Quartu Sant’Elena è il giorno del primo punto ATP. Chiunque, da Sinner a Federer passando per Nadal e Alcaraz, ricorda il momento in cui quel fatidico istante arriva, l’attimo in cui si entra formalmente nel ranking ATP. “Una tensione pazzesca, giocavo contro Cristian Rodriguez, ci conoscevamo molto bene avendo la stessa età. Si giocava sul cemento. Alla fine l’ho spuntata 7-5 4-6 6-3. Ricordo ancora oggi la gioia”. Alla fine del 2009 Alessandro entra tra i primi 800 giocatori della classifica mondiale e, all’inizio della stagione successiva, decide di sperimentare una lunga trasferta negli Stati Uniti. Un mese intero in Florida alla ricerca di esperienza e punti. Ma quanto era difficile all’epoca tornare a casa con qualche soldo muovendo anche la classifica? Basti pensare che per conquistare un unico, misero, punto ATP, bisognava vincere 5 incontri: quattro di qualificazione e uno nel main draw. “Arrivare in tabellone era difficile, e anche se avevo 19 anni ricordo quanto fossi distrutto fisicamente. Fu un’esperienza molto formativa, che ti fa vivere al meglio il passaggio da junior al mondo dei grandi. È una tappa fondamentale. Si passava dal circuito giovanile, nel quale tutto era perfetto, dagli hotel ai campi di allenamento, al farti un bel mazzo nel campo 40 di un circolo sperduto nel cuore della Florida. E a quel punto capisci che devi iniziare a pedalare. È stato molto formativo e difficile, molti ragazzi della mia età a quel punto hanno mollato pensando ‘ok, forse questa vita non fa per me’. Io pensai ‘adesso ci devo provare veramente”. Ed eccoci alla prima vittoria in un Challenger, che giunge subito dopo l’esordio al Foro Italico. È il maggio del 2010 e dopo il 6-1 6-3 subìto da Luczak agli Internazionali d’Italia,
Alessandro si presenta al Challenger di Sanremo (di fatto torneo di casa, per lui nato a La Spezia) per affrontare Dominik Hrbaty. Lo slovacco non è più quello di un tempo (sei anni prima era stato n.12 al mondo), ma è pur sempre un signor giocatore. “Hrbaty era forte forte seppur a fine carriera, fu un risultato inaspettato, una grande emozione. Cavolo che bello a ripensarci: c’erano i parenti, gli amici, rimane un momento indelebile della mia carriera, della mia vita”. Nei mesi successivi incrocia la racchetta per la prima volta con il corregionale Fabio Fognini (perdendo a Genova) e supera a Palermo il siciliano Alessio Di Mauro. “Ecco questo è un ricordo meno piacevole seppur io abbia vinto (ride; ndr). I match contro Ale erano sempre durissimi, infiniti. Mi hanno però fatto capire che ero predisposto alla sofferenza e durante i miei anni nel circuito tutto ciò poi è venuto fuori. È stata la mia grande qualità”. Alla fine del 2010 viaggia da solo in direzione Madrid, c’è l’ultimo torneo della stagione da disputare. Arriva il primo titolo da professionista, senza perdere alcun set. Alessandro Giannessi si è sbloccato. “Pino Carnovale (storico preparatore fisico; ndr) diceva sempre: ‘se vinci un Futures puoi passare al livello Challenger’. E così è stato”. Nel 2011 Giannessi è ormai pronto per il salto di qualità, vince tantissime partite e tornei. Arriva l’esordio nelle qualificazioni Slam a New York, “dove ho preso una ripassata incredibile da Matteo Viola. Ero arrivato tardi negli Stati Uniti dopo aver raggiunto la semifinale a Cordenons. Mi guardavo intorno e pensavo ‘sono arrivato fin qui’. Fu appagante soprattutto la settimana di allenamento che passai lì con tanti ottimi giocatori”. Il ranking passa da 500 a 135. Tra settembre e ottobre giungono i quarti nell’ATP di Bucarest, partendo dalle qualificazioni, e la finale al Challenger di Napoli. Il diritto fa i buchi per terra. La Top-100 non è ancora arrivata, ma Alessandro è consapevole di avere ormai quel livello. “Giocavo senza pressione, gli avversari non mi conoscevano; mi sembrava tutto facile e bello”.
BIMBO ‘GIANNESSI’. Nella vita di un tennista, girovagando per il mondo per 45 settimane all’anno, ne capitano di stranezze. Ma quella che riguarda Alessandro ha del surreale. “Una storia assurda: mi contatta un signore su Facebook tramite messaggio privato. Ero già pronto a leggere qualche insulto”. La realtà supera la fantasia. Un tizio belga scrive a Giannessi per raccontargli che il figlio aveva deciso di dare al bimbo appena nato il nome… Giannessi. Non Alessandro, proprio Giannessi. “Io ho provato a dirgli che si trattava di un cognome, peraltro non così comune, ma ormai era fatta. Mi ha mandato una foto di una copertina con scritto ‘Giannessi’. Ogni tanto mi manda ancora fotografie e video del bambino. Poi ho scoperto che la famiglia seguiva il tennis e gli era piaciuto quel… cognome. I miei colleghi sono tutti impazziti per questa notizia (ride; ndr)”.
LA CRISI. Alla fine del 2011 il tennis italiano non è messo poi così male a livello di individualità. I Top-100 sono 5 (Seppi, Fognini, Starace, Volandri e Cipolla), ma nei primi 200 al mondo l’unico under 21 è proprio ‘Gianna’. Federico Gaio e Stefano Travaglia, all’epoca diciannovenni, sono intorno al numero 400. “Sono stato etichettato come uno di quelli che doveva arrivare e un po’ di pressione mi è inevitabilmente finita sulle spalle”. La stagione 2012 inizia benino
(qualificazioni superate ad Acapulco e poi a Montecarlo), ma durante il Challenger di Tunisi Alessandro si sente male: polmonite. “Avrei dovuto giocare il main draw degli Internazionali BNL d’Italia grazie a una wildcard, ma fui costretto a saltare sia il Foro Italico che le qualificazioni del Roland Garros. È stata una botta pazzesca a livello emotivo, oltre che fisico, che mi sono portato dietro per qualche mese. Ho capito che di facile non c’era nulla in questo mondo e, allo stesso tempo, mi sono accorto delle mie lacune tecniche. Dovevo migliorare e fare punti sul cemento, era importante che il mio rovescio crescesse”. Il 2013 inizia con una trasferta di un mese in mezzo in Australia insieme a coach Gabrio Castrichella. “Tante batoste, ma costruttive. Quel periodo ‘down under’ fu anche molto caro economicamente. La scelta però era chiara: investire su me stesso, migliorare, crescere”. Il primo risultato di rilievo dell’anno arriva nuovamente sul rosso di Napoli, dove ‘Gianna’ approda in finale sconfiggendo in semi Volandri in una maratona di tre ore di gioco. “Battere Filippo sulla terra voleva dire aver raggiunto un determinato livello. Ricordo che finimmo entrambi con i crampi”. In finale giunge la sconfitta contro Starace. “Battere Potito a Napoli era come sconfiggere Rafa a Parigi. Impossibile! Finalmente poi ho disputato Roma: affrontai Montanes. Purtroppo al Foro Italico ho sempre giocato con tanta pressione addosso e non sono riuscito a esprimermi al meglio. Roma per un italiano è particolare: o ti blocca o ti porta a giocare da Dio. È comunque il torneo più bello che ci sia”. Le stagioni 2014 e 2015, complice anche una delicata operazione al polso, sono difficili. Qualche infortunio, alcune sconfitte. Il 2011, la Top 100 a un passo, sembrano quasi un lontano ricordo, ma Alessandro non ha alcuna intenzione di mollare. Dal circuito ATP, appena sfiorato, a dover ripartire dai Futures, è un attimo. La classifica recita 500 del mondo. Ma è lì, in quei momenti, che si misura la forza di un tennista. E quella forza, Giannessi, la dimostra.
FINALMENTE TOP 100. Il 2016 è l’anno della rivalsa, della risalita e della vittoria più bella. ‘Gianna’ si presenta a New York per giocare le qualificazioni: supera due ottimi tennisti come Sugita e Kamke e, soprattutto, sconfigge Denis Kudla al primo turno del main draw. Il match ha un punteggio totalmente folle: 0-6 6-4 6-1 1-6 6-0. “Ero teso, iniziai malissimo, mentre nel secondo set mi sciolsi. Nel quarto parziale arrivarono i crampi alla mano e il provvidenziale aiuto di Seppi e Sartori. E giunse così la mia prima e unica vittoria Slam. Giocai anche un gran bel secondo turno contro Wawrinka, perdendo in tre set lottati. Lo affrontai sull’Armstrong, che meraviglia. Lui alla fine vinse il torneo, stava esprimendo un discreto tennis (ride; ndr)”. A inizio 2017 il livello di
Giannessi, su terra, è molto alto: supera le qualificazioni e un turno sia a Buenos Aires che a San Paolo. La classifica sorride (n.127), il tennis è di qualità. Arriva la chiamata in Coppa Davis. “Ho coronato un sogno, ero già stato quinto uomo a Baires, ma a Charleroi contro il Belgio sono sceso in campo contro De Loore vincendo 6-4 7-6(9). Mi sono trovato benissimo con Barazzutti e i ragazzi (Seppi, Lorenzi, Bolelli; ndr). È un’emozione bellissima che mi porto dentro ancora oggi”. Nel Challenger di Francavilla al Mare ‘Gianna’ raggiunge la finale dopo aver sconfitto un giovane Stefanos Tsitsipas e a Caltanissetta, finalmente, il traguardo tanto atteso e meritato. “Prima della semifinale in Sicilia contro Stebe sapevo di giocarmi la Top-100. Stavo esprimendo un grande tennis e a Caltanissetta mi sono sempre trovato bene: altura, palla che salta. Ho disputato un gran match (vinto 6-3 7-6; ndr). Al match point mi sono buttato in terra, è un istante che ricorderò per sempre. Era il sogno di un bambino diventato realtà dopo anni di sacrifici e sofferenze”. A luglio, a Umago, Alessandro gioca un altro ottimo torneo e in semifinale affronta un derby contro Paolo Lorenzi. Il match è duro, combattuto, ma alla fine la spunta il senese 6-2 4-6 6-3. Il best ranking è raggiunto (n.84). “Se avessi battuto Paolo sarei andato al numero 71, mi ero fatto bene i conti. Lorenzi era tosto, molto tosto, oltre che un grande esempio; abbiamo giocato tante battaglie, a volte vinceva lui, altre io”.
TRA CAMPIONI E NEXTGEN. Non solo Tsitsipas. Giannessi durante il suo cammino ha battezzato altri ragazzi poi divenuti grandi tennisti. A Padova, nel 2015, aveva sconfitto in tre set Andrey Rublev; mentre l’anno precedente aveva superato Alexander Zverev a Dusseldorf. “Rublev tirava di un forte pazzesco, come adesso; ricordo che per battere Tsitsipas ho faticato non poco, ci volle il miglior Giannessi. Con Zverev giocai un grande match, lui di lì a poco esplose raggiungendo la semifinale ad Amburgo”. I big, invece, li ha incrociati spesso in allenamento. “Oltre a Nadal citerei Tsonga, Berdych, Djokovic, Youzhny e poi Del Potro, con cui ho diviso il campo tantissime volte; anche prima del suo ultimo match a Baires ho avuto questa fortuna. Il ginocchio gli faceva malissimo, ma quella partita voleva e doveva giocarla comunque. Federer invece ho avuto l’occasione di scaldarlo una volta, ma non fu un vero allenamento”.
LE ULTIME STAGIONI. Alessandro rimane in Top200 per la gran parte delle stagioni successive, anche se non riuscirà più a rientrare nei 100. Nel 2021, però, al Roland Garros, gioca forse il torneo migliore della carriera per qualità e solidità. Al primo turno di qualificazione supera Ruben Bemelmans 6-4 6-7 7-5 dopo una lotta clamorosa. Per entrare nel main draw conquista poi due vittorie che, a leggere oggi i nomi degli avversari, fanno impressione: 7-5 7-5 a Tallon Griekspoor e 6-4 3-6 6-2 a Francisco Cerundolo, entrambi a ridosso della Top100 e a un passo dall’esplosione definitiva. “Il livello delle qualificazioni Slam è sempre altissimo, tutti hanno una fame pazzesca, sono tostissime. In palio ci sono prestigio, punti, soldi”. Nel tabellone principale Giannessi affronta Kei Nishikori. “Giocai benissimo, arrivando sino al 4-2 in mio favore al quinto set. L’anno dopo, sempre al primo turno del main draw, ho servito per il match contro Gojo in una sfida durata 5 ore. Peccato, ma in entrambi i casi avevo dato tutto me stesso”. Come sempre, perché Giannessi è stato ed è tutto ciò: un lottatore indomito. “Ho visto il mio tennis evolversi nel tempo: ero arrivato al numero 120 con un diritto fuori dalla norma ma anche un rovescio non adatto a quel livello. Sono poi cresciuto nel rovescio ma, non saprei dire perché, ho perso qualcosa nel mio colpo migliore. Ora vorrei rimanere nel tennis, allenare, trasmettere le mie esperienze a qualche giovane, soprattutto imparare il mestiere e continuare a divertirmi”. Se il sorriso, la determinazione e le conoscenze tattiche di Alessandro Giannessi rimarranno nel circuito, sarà una bellissima notizia per tutti. Intanto, per qualche settimana, potrà godersi un po’ di meritato relax, rincorrendo qualche pallina in meno e, magari, inseguendo per casa, tra tanto amore e infinite risate, il piccolo Lorenzo.