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INTERVISTA – Pattinaggio artistico, Barbara Fusar Poli: “A Pyeongchang spero in una medaglia italiana”

Barbara Fusar Poli - Foto Sportface

In coppia con Maurizio Margaglio ha vinto tutto quello che la danza sul ghiaccio italiana poteva vincere, nel panorama internazionale, dal 1995 al 2006. Undici anni incredibili, culminati col ritiro dopo i Giochi di Torino, a seguito dell’indimenticabile caduta del partner a pochi secondi dalla fine del programma originale. Un attimo appena, un errore fatale, e l’oro che sembrava già in cassaforte si è dissolto nella loro interminabile occhiata al centro della pista.

Fuoco sul ghiaccio, Barbara Fusar Poli: carattere forte, idee chiare e grinta da vendere. Non aveva nemmeno 10 anni quando ha indossato i pattini, ma se sei dotata di un talento fuori dal comune, vivi a pochi metri dal Palaghiaccio di Sesto San Giovanni e ti affidi a Paola Mezzadri, Roberto Pelizzola e Tatiana Tarassova, è inevitabile che arrivino nove titoli nazionali, un oro e un argento ai mondiali, un oro e due argenti agli Europei, una sfilza di podi nei Grand Prix e un bronzo alle Olimpiadi del 2002, a Salt Lake City, scrivendo la storia del pattinaggio azzurro e aprendo la strada a tutti i campioni che sarebbero venuti dopo. Barbara oggi è allenatrice e responsabile della scuola di danza Agorà Skating Team, medaglia di bronzo e d’argento al valore atletico del Coni, Cavaliere d’Italia per meriti sportivi e Collare d’oro Coni.

Inevitabilmente, il suo approccio alla disciplina è cambiato rispetto a quando gareggiava, ma una cosa è rimasta immutata: il fiuto, il sesto senso, l’intuizione, quel saper percepire se una coppia può funzionare. “A volte non vedo subito l’affinità e ho bisogno di lavorarci su – racconta – altre volte la scintilla è immediata. In ogni caso, raramente finora mi sono sbagliata”. Il segreto? “La passionalità, se ce l’hai e la sai trasmettere regalerai emozioni e farai la differenza”.

Tutto bello e facile? Neanche per idea. Può sembrare un’inezia, ma perché nasca una coppia bisogna fare i conti anche con problemi spiccioli come l’impossibilità di alcune famiglie di mettersi d’accordo sui giorni e gli orari in cui portare i figli agli allenamenti. E poi c’è il “dramma” piste. L’Italia non è la Russia, non ti regala la possibilità di pattinare in ogni angolo e all’Agorà di Milano arrivano ogni giorno ragazzi da tutta la Lombardia; altri si sono trasferiti direttamente dalla Slovenia, dalla Polonia o dalla Francia, come Charlene Guignard, per inseguire il loro sogno e assecondare la loro passione.

Fuoco sul ghiaccio, Barbara Fusar Poli: tanta fantasia per trarre ispirazione da qualsiasi spunto: una musica, un costume, e perché no? Anche dai suggerimenti di un fan. Cronometro in mano per controllare che i tempi dei sollevamenti siano perfetti, ricorda con il sorriso i tempi in cui la danza era assoluta libertà. Da pattinatrice è passata attraverso tre generazioni, da allenatrice sta vivendo la quarta e all’Agorà, la sua seconda casa, insegna ai campioni di oggi e prepara quelli di domani.

L’evoluzione di Barbara: da pattinatrice istintiva e passionale ad allenatrice scrupolosa e attenta?
Sono più o meno com’ero, il carattere è quello. Ovviamente cambia il punto di vista: da atleta è uno, da allenatrice è un altro. Mi trovo a gestire coppie di ogni tipo, da quelle tranquille a quelle istintive, da quelle che vanno incoraggiate e spronate, a quelle che vanno calmate. Di conseguenza, devo essere anche un po’ psicologa, devo conoscere le loro dinamiche per non rischiare che, alla prima occasione importante, vadano nel panico, mandando in fumo mesi di preparazione. Quando pattinavo era più facile, perché quando arrivava il momento della gara sapevo che tutto era nelle mie mani e che avevo la capacità di andare fino in fondo. Adesso, ultimata la preparazione, posso solo affidarmi completamente ai miei ragazzi, sperando che tutto vada bene”.

Marco Fabbri e Charlene Guignard sono la coppia con la quale è ufficialmente iniziata la tua seconda vita, quella da allenatrice. Con loro, dopo tanti anni, immagino che vi capiate con uno sguardo…
Assolutamente sì, se c’è un problema si torna in balaustra, si parla, si risolve tutto e si ricomincia. Marco e Charlene, ormai, sono abbastanza maturi da poter gestire qualunque tipo di stress, come l’anno scorso in occasione della prima gara di coppa del mondo. Charlene stava molto male, ma unendo la mia esperienza alla loro professionalità e alla bravura di Marco nel sostenerla e andarle incontro più del normale, siamo riusciti a portare a casa allenamenti discreti e una gara incredibile. Li conosco, e sapevo che comunque sarebbero rimasti in piedi”.

Qual è la prima cosa che ti piace insegnare ai tuoi ragazzi?
Le sensazioni di certi passi e di certi movimenti, la musicalità. La tecnica arriva in un secondo momento, inizialmente sono io che ‘imparo’ da loro, vedendo e sentendo quello che posso sviluppare. Sono cresciuta, e cresco ogni giorno, con i miei allievi e sono arrivata ad avere una visione molto più aperta e globale. Tempo fa, da pattinatrice prima e da assistente della mia allenatrice poi, pensavo solo alla parte femminile. Adesso guido la coppia in un processo di crescita decisamente più armonioso”.

Un anno alle Olimpiadi e tantissimi altri appuntamenti prima. Non ci si ferma mai?
“Impossibile. Marco e Charlene non hanno solo le Olimpiadi, prima ci sono un campionato nazionale, un europeo e i Grand Prix e i programmi nuovi devono andare bene da subito se si vuole cominciare la stagione in modo positivo; l’Olimpiade sarà solo la degna conclusione, l’apice; ma subito dopo ci saranno i mondiali, che tra l’altro nel 2018 saranno a Milano. Non c’è tregua, ma da un lato il bello è proprio questo. Certo, se vai per una crescita personale e senza ambizione di medaglia è un conto, se invece ti presenti per fare risultato diventa tutto molto stressante”.

Ma l’Italia, in vista di questo appuntamento, come sta? E cosa possiamo aspettarci per il post Olimpiade?
“A Pyeongchang speriamo in una medaglia per Anna e Luca, in modo che possano chiudere nel migliore dei modi il loro doppio quadriennio di lavoro e regalare a tutto il mondo della danza un’immagine diversa, che manca da anni. Il futuro, poi, sarà tutto da costruire, salendo gradino dopo gradino, perché l’Italia non è come certe nazioni che arrivano e piazzano i propri atleti in cima al podio. Le due coppie di artistico che abbiamo oggi cominciano ad essere abbastanza grandi di età e quelle che seguono sono ancora molto giovani, questo vuol dire che dopo il loro ritiro per almeno un paio di quadrienni potremmo non avere risultati di un certo tipo”.

Come pensi che stia, invece, la danza sul ghiaccio alla luce della sua evoluzione?
È una evoluzione che ho visto molto da vicino nelle sue varie fasi. Nel passaggio da junior a senior ho vissuto la prima trasformazione da 4 a 3 programmi, poi ho attraversato tutta la generazione fatta di obbligatorio, originale e libero; infine, con l’ultima olimpiade del 2006, e le nuove regole di punteggio già in vigore, ho toccato anche l’ultima fase, quella che ha portato alla danza come la conosciamo oggi con corto e libero. Il mio giudizio su questa evoluzione è positivo, perché ha permesso un innalzamento generale del livello del pattinaggio. Oggi ci sono junior che fanno cose che io non facevo neanche nella senior, perché nascono già con i requisiti imposti dal regolamento. Noi, invece, avevamo più libertà di esecuzione, ma non ci spingevamo a provare le cose che non ci venivano richieste”.

Non credi, quindi, che questi cambiamenti abbiano inciso negativamente sulla parte artistica della danza?
“Che tutto questo stravolgimento sia avvenuto a discapito della parte più fantasiosa è vero, ma l’innalzamento del livello tecnico ha reso lo sport molto più atletico e oggi i passaggi tecnici hanno già insita una parte artistica. Il fatto di dover curare GOE e components ti induce proprio a perfezionare la parte artistica e non si finisce davvero mai, tant’è che nell’arco di una stagione non riesci a far diventare impeccabile un programma, con tutti livelli 4, e i GOE tutti a + 3. Dovresti tenerlo minimo due anni, ma è chiaro che una decisione del genere la prendi solo se ci sono problemi. Oggi è tutto così minuziosamente studiato e vagliato che puoi prendere il pdf di una gara, capire nello specifico cosa è piaciuto e cosa no e orientarti di conseguenza. Prima non era così, se vincevi voleva dire solo che il programma aveva colpito e che non avevi sbagliato”.

Si conclude qui la prima parte dell’intervista a Barbara Fusar Poli, lunedì la seconda. Barbara ci parlerà un po’ di sé e della sua vita fuori dal ghiaccio, della scuola che dirige e dei risultati ottenuti da alcune delle sue coppie. E poi la faremo tornare indietro nel tempo: a Torino 2006 e alla sfida con i francesi Anissina / Peizerat. Continuate a seguirci su Sportface!

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