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“Ho ricevuto molto odio per quello che ho fatto. Ma le persone che parlano così non capiscono cosa significhi la guerra. Sfortunatamente, io lo so e lo stesso vale per ogni altro atleta ucraino. Facciamo sport ma siamo cittadini ucraini e combattiamo per il nostro Paese in modi diversi. Abbiamo una posizione chiara al riguardo: dobbiamo mostrare al mondo cosa sta succedendo, perché non tutti ci capiscono. Credevo che la mia carriera sarebbe finita così. L’ho accettato, credevo fosse finita. Ho dovuto pensare al peggio. Proprio lì, mi sono sentita nella peggiore condizione di tutta la mia vita”. Lo ha detto in un’intervista al Guardian la schermitrice ucraina Olga Kharlan, squalificata ai Mondiali di Milano (e poi riammessa per la gara a squadre) per non aver stretto la mano all’avversaria russa Anna Smirnova, come forma di protesta contro la guerra di aggressione iniziata nel febbraio del 2022. Dopo la squalifica nella prova individuale, un intervento del Cio le ha garantito la qualificazione diretta alle Olimpiadi 2024.
“A me andava bene gareggiare, proponendo il protocollo Covid (provando ad incrociare la lama con il saluto a distanza ndr). Le ho detto che non le avrei stretto la mano: non è stato detto niente di male, è stato tutto molto professionale e diretto. Sapevo che sarebbe arrivato il momento della stretta di mano, quindi ovviamente mi sono preparata, ma non potevo prepararmi per la sua reazione e per tutto ciò che sarebbe seguito”, dice in relazione alla protesta di Smirnova che occupò la pedana per 50 minuti. Poi lo stop: “Ho visto l’arbitro del mio incontro ed era bianco come un lenzuolo, quasi piangeva. In quel momento ho capito cosa sarebbe successo; L’ho pregato di non farlo ma sapevo che non era una sua decisione, l’avrebbe dato in quel momento se lo fosse stata. Con quel cartellino nero hanno distrutto tutti: l’arbitro, me, la mia federazione, il mio Paese, tutto”.
Poi Kharlan si sofferma sulla quotidianità da sportiva al tempo della guerra: “È sempre lo stesso: andare alle gare e controllare costantemente le notizie, diventa un’abitudine regolare. Dnipro, Vinnytsia, Uman, aggiornamenti da ogni parte. Il tempo passa e purtroppo ci si abitua. Ho lavorato molto con il mio psicologo per accettare la situazione, per capire cosa posso fare per il mio Paese, la mia famiglia e per me stessa. Ci è voluto del tempo. Quando ho vinto una medaglia di bronzo in Tunisia a gennaio, la mia prima dal dopoguerra, è stata la più preziosa della mia vita. Ho pianto a dirotto”.
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