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Professor Maurizio Di Pietro, nello scorso appuntamento abbiamo visto insieme quanto sia importante per un atleta di qualsiasi livello definire con chiarezza un obiettivo agonistico su cui impostare la propria stagione. Allo stesso tempo, ci ha spiegato l’importanza dell’allenamento costruttivo e dell’aumento del carico settimanale. Oggi vogliamo trattare i temi della continuità dell’allenamento, del riposo e dell’alternanza di carico e scarico.
Quanto conta, nell’ambito di un processo di crescita organica, la continuità dell’allenamento?
“Nel nostro sport la continuità di allenamento è fondamentale, a tutti i livelli, sia per chi si allena sette giorni a settimana, sia per chi si allena quattro volte. Fermarsi, interrompere gli allenamenti, significa regredire dal punto di vista fisico: la crescita atletica, infatti, si ottiene soltanto attraverso la continuità. Pertanto, quando per vari motivi, che nel caso degli amatori possono non solo essere legati ad infortuni ma anche ad impegni lavorativi, si sia costretti ad interrompere il ciclo di allenamento, occorre mettere in preventivo che la ripresa avverrà con una condizione fisica più scadente”.
Che cosa si deve fare in questo caso?
“Dopo uno stop occorre semplicemente tenere presente questo fattore: la condizione fisica è scesa a seguito dell’interruzione del lavoro. Occorrerà pertanto impostare l’allenamento sulla base della condizione fisica del momento, non di quella che si aveva prima dello stop. A me piace sempre ricordare che il corpo umano lavora come una macchina perfetta: se tenuto in attività costante, si rafforza per rispondere alle sollecitazioni esterne prodotte dal carico di allenamento. Quando invece è inattivo, tende a risparmiare energia e nel contempo a perdere la propria efficienza”.
Quindi riposarsi fa male?
“Assolutamente no! Anzi, il riposo fa parte di un ciclo di allenamento, occorre solo programmarlo nei momenti giusti”.
Ci spieghi meglio questo concetto.
“Il riposo è fondamentale per dare modo all’organismo di recuperare da un programma di lavoro svolto in precedenza. A seconda del grado di preparazione dell’atleta, il riposo può esplicitarsi in forme diverse: ad esempio, negli atleti più evoluti corrisponde a una corsa lenta rigenerativa, che significa una sessione di allenamento blando di 50-60 minuti. Per gli amatori, cioè le persone che si allenano con continuità per 4-5 giorni a settimana, può essere invece una giornata di assoluto relax”.
Che cosa avviene dal punto di vista fisiologico durante il riposo?
“Durante la giornata di riposo le fibre muscolari hanno modo di smaltire le tossine accumulate e recuperare dallo stress determinato dall’allenamento. Come ho già detto, però, il riposo è fondamentale, in un ciclo di allenamento, solo se viene adottato nel momento giusto. In questo caso può avere benefici sia fisici che psicologici: molto spesso, infatti, capita che, a seguito di un lungo programma di lavoro e gare, gli allenamenti risultino scadenti e si faccia fatica anche nella competizione. In queste situazioni, la soluzione migliore può essere quella di “staccare la spina” , in modo da togliere pressione sia ai muscoli che alla testa”.
Prof. Di Pietro, abbiamo dunque visto come sia importante dare continuità agli allenamenti e anche riposare. Ne consegue che, in un corretto ciclo di lavoro, occorre alternare delle fasi di carico e scarico.
“Corretto. Così come nella fisica, anche per quanto riguarda il corpo umano vale un principio fondamentale: ad ogni azione corrisponde una reazione. Quando ci si allena si stressano le fibre muscolari, che devono conseguentemente avere il tempo di assorbire il carico di lavoro, rinforzandosi e migliorando le caratteristiche di resistenza, forza e velocità. Sbagliare la seduta di allenamento o, peggio ancora, non dare il giusto tempo ai muscoli per il loro adattamento fisiologico, significa non migliorare la propria prestazione o addirittura farla regredire”.
Come si struttura quindi un corretto ciclo di allenamento?
“Il programma di allenamento deve avere una struttura sinusoidale: una prima parte di costruzione, seguita da una fase qualitativa in cui si ottiene il picco della condizione, per passare poi a steps di decrescita e recupero. Successivamente si può ripartire con un nuovo ciclo, che può essere diverso nei contenuti a seconda dei programmi dell’atleta, ma sempre coerente nelle fasi”.
Che vantaggi si ottengono con un lavoro di questo tipo?
“Gareggiare al momento giusto porta ad ottenere buoni risultati e ad aumentare l’autostima dell’atleta. Gareggiare al momento sbagliato non può far altro che portare a delusione, sia dal punto di vista cronometrico che psicologico. In passato ho avuto alcuni atleti che, in un periodo di decrescita organica, nonostante i miei inviti a lavorare sul recupero muscolare non hanno resistito al fascino della competizione e hanno preferito gareggiare: i risultati sono stati tutt’altro che positivi. Il motivo è molto semplice: quelle gare sono state svolte nel momento sbagliato, quando il fisico dell’atleta non era pronto per dare il meglio. Proprio per questo, come ho detto nel corso della nostra prima chiacchierata, è sempre opportuno “puntare” pochi obiettivi agonisti e arrivarci nel frangente più alto della condizione. Ciò non toglie che non si possa gareggiare spesso: so benissimo che soprattutto gli amatori vogliono gareggiare, alcuni anche tutte le domeniche. Bisogna però tener bene presente che le gare non finalizzate risentono della condizione del momento e dei carichi dell’allenamento”.
Nella prossima puntata, che sarà online lunedì 5 marzo, affronteremo i concetti di crescita di velocità, intensità e densità di allenamento.