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Questa Italia del rugby, anche nel 2018, ci ha fatto capire una cosa. La sua crescita, per quanto effettiva, non sarà mai sufficiente a colmare la distanza con le altre nobili europee. Un po’ lo specchio dell’attuale congiuntura economica del Paese: il Pil va su, la disoccupazione scende, ma la qualità della vita resta sulla soglia dell’amarezza. Non un problema di quantità, ma di qualità.
La sconfitta casalinga contro la Scozia – un 27-29 beffardo, maturato negli ultimi due minuti – è la diciassettesima consecutiva nel Sei Nazioni. La striscia peggiore da quando l’Italia siede al desco del torneo più prestigioso. La media punti di scarto rispetto alle altre nazionali è di 22, più di tre mete. La capacità di segnare della nostra nazionale è migliorata rispetto allo scorso anno (Matteo Minozzi, la vera nota lieta di questa edizione, è stato il primo dal 2003 a schiacciare a terra l’ovale per quattro volte in cinque partite), ma non può essere abbastanza.
Da quando la federazione si è affidata a Conor O’Shea, l’Italia ha vinto quattro partite: Stati Uniti, Canada, Fiji e il prezioso scalpo con il Sudafrica a Firenze, l’unico risultato che, negli ultimi mesi, ci ha reso davvero orgogliosi (e che forse ci ha illuso più del dovuto). Il progetto del tecnico è sempre stato definito di lungo periodo, assioma che va accettato e che è inattaccabile. Migliorie si sono viste, ad esempio, nel rapporto tra nazionale e franchigie (Zebre e Benetton ne hanno beneficiato, diventando squadre ostiche da affrontare in Pro14 e non soltanto fanalini di coda con cui timbrare il cartellino). Quello su cui il tecnico non può agire, però, è il tasso qualitativo complessivo dei giocatori in maglia azzurra. L’esperienza di Sergio Parisse, il talento di Matteo Minozzi (e di un infortunato Michele Campagnaro), le belle speranze di Giovanni Licata, Sebastian Negri e Jake Polledri (quest’ultimo ancora da verificare) non riescono a livellare verso l’alto le prestazioni del resto della squadra, sia dei titolari, sia delle riserve.
La sconfitta contro la Scozia, a questo proposito, è stata emblematica. Un Minozzi in palla e un Tommaso Allan sugli scudi non hanno impedito alla squadra di calare sulla lunga distanza. Tenuta atletica o tenuta nervosa? Avanti per 70 minuti, l’Italia è crollata negli ultimi dieci, come se le fossero venute meno le forze. O le emozioni. Un destino beffardo, che fa salire la rabbia per quello che poteva essere e non è stato. Una vittoria in questo Sei Nazioni 2018 avrebbe cambiato quantomeno le prospettive. L’altro limite da registrare, quindi, è la distanza fisica con gli avversari, resa ancor più complicata dal problema della mentalità.
Ma quello che fa più male – in assoluto – è la considerazione internazionale nei confronti della nostra nazionale. Ci sarà stato anche un pizzico di storica rivalità strisciante e mai sopita nel titolo con cui Le Parisien ha presentato il match Francia-Italia (“Anche gli azzurri possono batterci”); ma la verità è che i transalpini hanno avuto il coraggio di dire chiaramente quello che tutti, in Europa e non solo, pensano. Il nostro 14° posto nel ranking mondiale, infatti, ci suggerisce che anche la Georgia ci ha ormai stabilmente superati. I Lelos che disputano la Rugby Europe International Championships (una sorta di Sei Nazioni di serie B) si sono guadagnati quel rispetto che, ormai, nessuno è più pronto a concedere all’Italia. Eddie Jones, il tecnico dell’Inghilterra, ha spinto la propria federazione a effettuare degli allenamenti specifici insieme alla Georgia perché – testuali parole – “hanno la mischia migliore del mondo, e da quelli che fanno una cosa meglio di te puoi solo imparare”. Un ragionamento al miele, da parte della terza nazionale più forte al mondo, che sa di stoccata ficcante alla nostra nazionale.
Il contratto tra l’Italia e il Sei Nazioni è attualmente in scadenza nel 2022. L’orizzonte sa davvero di ultima spiaggia. Da quel momento in poi, l’Italia potrà essere estromessa dal red carpet del rugby, magari proprio a favore della Georgia. E se, dal punto di vista del fascino, il colpo sarebbe davvero difficile da digerire, dal punto di vista tecnico questa esclusione potrebbe addirittura essere salutare. Purché, ovviamente, non sia definitiva.
L’Italia, che è la nazionale più battuta tra quelle che fanno parte del nostro Comitato Olimpico (86% di sconfitte complessive), ha bisogno di un confronto più regolare con nazioni “alla sua portata”. Un naturale miglioramento dei risultati potrebbe restituire fiducia a un ambiente che ha bisogno di vincere per poter attirare più pubblico. E per poter far iscrivere più ragazzini alle scuole di rugby. Il tutto, ovviamente, senza rinunciare a tornare – un giorno – a dare filo da torcere a Inghilterra, Irlanda, Galles, Francia e Scozia. Alternarsi con la Georgia nel Sei Nazioni del futuro potrebbe essere una soluzione equilibrata.
Nel frattempo, speriamo comunque di essere smentiti. Il mondiale 2019 in Giappone (ma anche la marcia d’avvicinamento con i test match contro i nipponici) potrebbe rappresentare una chiave di volta su cui far leva. E la sfida-termometro contro la Georgia – in un’amichevole che deve essere organizzata al più presto – potrebbe misurare realmente la febbre al nostro movimento. Di umiliazioni, questa Italia, ne ha subite troppe.