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Rugby e cocaina. “Un flagello” che colpisce il mondo della palla ovale e il cui uso in Francia ormai è diventato “comune” tra i giocatori “non solo tra i professionisti, ma anche tra i dilettanti”. A svelare tutto è un’inchiesta contenuta nel numero di oggi dell’Equipe magazine, a firma del giornalista Antoine Bourlon, che a Rtl spiega come lo stupefacente “nel rugby è una pratica che si sta sviluppando e che esiste a un livello che non era conosciuto in passato”, aggiungendo che a favorirne l’uso è anche “l’effetto terzo tempo, un vero e proprio cliché del rugby ma che esiste davvero”. E poi “c’è l’effetto benefico a livello mentale, che permette di scaricare la pressione, di sostenere i carichi di allenamento e gli shock tipici di questo sport”: questo spiegherebbe l’aumento del consumo di cocaina durante la settimana, al di fuori dei giorni in cui si scende in campo.
Infatti “i giocatori che abbiamo intervistato- spiega il giornalista- e che hanno ammesso di essere consumatori, erano molto consapevoli del regolamento: sanno quando assumere la cocaina, per quanto tempo rimane nell’urina”. I giocatori di rugby che hanno testimoniato hanno scelto di farlo in modo anonimo per evitare problemi, anche se tutti si sono detti d’accordo sul fatto che nell’ambiente non è un segreto il consumo. L’inchiesta ricorda che la Federazione francese di rugby (FFR) effettua i controlli antidoping dopo le partite, ma non durante la settimana di pratica: questo consente a chi assume cocaina di farlo senza temere i controlli: “La cocaina rimane nelle urine solo fino a 48 ore. Se i giocatori la prendono all’inizio della settimana– ha spiegato Christian Bagate, responsabile della lotta al doping nella FFR- non ci sono più tracce di droga nei giorni delle partite. Né abbiamo avuto casi di controllo positivo per la cocaina in competizione, anche se sappiamo benissimo che i giocatori la prendono”.
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