Dai regali di mamma al sogno di Rio. Dalle lacrime per entrare in piscina alla gioia dell’oro mondiale. Con una promessa: “All’Olimpiade mi vedrete da protagonista.” Simone Ruffini, 26 anni di cui 20 passati a nuotare in vasca o al mare, si è già tolto dal collo la medaglia di campione del mondo conquistata nella 25 km di Kazan lo scorso agosto: tutte le energie sono per la 10 km dei Giochi in Brasile.
Simone dalla Russia con amore. Lui sul podio iridato con la scritta ‘Aurora mi vuoi sposare?’, lei che risponde sì, confusa e felice, le mani unite a formare un cuore. Baci, abbracci, applausi e poi stop. Tutto finito nel giro di tre mesi. Tutto cambiato per restare in fondo sempre uguale: gli allenamenti insieme a Roma, pranzi e cene, le trasferte, i collegiali. “È stata tosta, ma io continuo a fare il tifo per lei”. Simone da Tolentino, dove torna appena può per staccare dal bordo-vasca, ritrovare i suoi amici e giocare con la nipotina. Simone in formato relax tra disegni e shopping, “ma niente aperitivi a Ponte Milvio”.’Simone self-control, che “se la testa c’è arrivo fino a Tokyo. E chissà, magari anche a Roma 2024…”.
Tu e il nuoto: quando vi siete innamorati?
“Da piccolo, quando avevo 5 anni, piangevo sempre al momento di andare in piscina: nuotare non mi piaceva per niente e faticavo tantissimo. Mia madre per convincermi a fare la lezione mi prometteva piccoli regali… Una macchinina, l’ovetto Kinder… Finché non c’è stato più bisogno di pensare alla ‘merce di scambio’ e ho iniziato ad amare l’acqua e il nuoto. Però mi piaceva di più il mare. Di solito i nuotatori hanno paura della profondità e stanno meglio in piscina… Per me era il contrario”.
E poi, cos’è cambiato?
“Mi sono avvicinato al fondo quando ero nella categoria ragazzi e si gareggiava sui 3.000 metri. Mi allenavo a Tolentino e con il mio tecnico di allora ci siamo detti di provare. Da lì, crescendo, sono venute anche le distanze più lunghe pur mantenendo le gare in piscina. Ma il vero cambiamento, la scelta definitiva, c’è stato una volta finita la scuola: ho incrementato gli allenamenti e ci siamo resi conto che con il fondo potevo avere buone occasioni. E infatti dopo pochi mesi, nel 2009, mi sono qualificato per il Mondiale di Roma”.
Come è scattata la molla dei 25 km?
“Nel 2012 mi allenavo a Pesaro con Marco Forni e un giorno abbiamo detto ‘proviamo a fare una gara’, senza aspettative ma giusto per fare esperienza e chilometri. È successo che l’ho fatta e l’ho vinta, campione italiano a Crotone. Poi è arrivato il quarto posto all’Europeo e da lì per me è stato tutto naturale”.
Fino al trionfo in Russia. Tu su quel podio che mandi baci ad Aurora Ponselè: da fidanzati a promessi sposi con tanto di proposta in mondovisione, poi la rottura nel giro di poche settimane.
“È stata tosta. Aver rotto con lei ha portato via un po’ di mesi in cui la testa stava da un’altra parte. Però continuo ad allenarmi all’Aquaniene nello stesso gruppo di cui fa parte anche Aurora, abbiamo lo stesso tecnico (Emanuele Sacchi, ndr) che è stato molto bravo a gestire quello che ci è successo. Non è facile, all’inizio è stata pesante come situazione, però questo è un anno importante per me e devo pensare a fare bene. E nonostante qualche screzio sono contento che siamo rimasti tutti e due ad allenarci qui con Emanuele, senza sentire il bisogno di andare via. Alla fine ci siamo semplicemente accorti che le cose non andavano come speravamo… Stavamo insieme da sei anni, abbiamo provato a mettere una pezza ma non è servito. Quel gesto sul podio di Kazan non lo rimpiango: ho fatto quello che mi sentivo di fare e ne sono felice anche oggi. Mi sono buttato, ci ho provato… Ma non sempre le favole hanno un lieto fine, e forse ha avuto il suo peso il fatto di stare sempre insieme, sia nel nuoto che fuori. Se non altro abbiamo fatto parlare un po’ più del nuoto di fondo, a volte trascurato rispetto a quello in vasca! Scherzi a parte… Siamo cresciuti insieme e alla fine resto un suo tifoso: sono felice se lei sta bene”.
Sei mesi a Rio, la qualificazione alla tua prima Olimpiade già in tasca da agosto. C’è il rischio di un calo di concentrazione?
“Sicuramente è un pensiero in meno perché la certezza di esserci già c’è, quindi durante quest’anno penseremo solo a Rio de Janeiro senza dover dimostrare nulla in altre gare, tantomeno di meritare quel posto. All’inizio potrebbe anche sembrare uno stimolo in meno, se l’unico obiettivo è partecipare. Ma quello che ci siamo prefissati io ed Emanuele è essere protagonisti, andare a Rio e dare il meglio, convinti che l’impegno è stato totale comunque andranno le cose”.
Potessi scommettere su una tua medaglia, quanto punteresti: un euro o un milione?
“Non scommetterei! Il nostro è uno sport fatto di situazioni ed episodi. Non è come stare in vasca, da noi ci sono i favoriti ma è una gara talmente lunga con così tante variabili che tutto può cambiare in poco tempo e mandare a monte una gara”.
Cosa sai dell’acqua di Rio?
“Due settimane dopo Kazan abbiamo fatto un test event proprio nello stesso periodo in cui si svolgerà la gara olimpica. Il mare era freddo per colpa di una corrente anomala che aveva fatto scendere la temperatura dell’acqua da 24 a 18 gradi, con delle onde altissime. Però mi sono divertito. Siamo tornati a novembre e la situazione non era cambiata molto, in più davanti a Copacabana l’acqua non è pulitissima. Insomma, ci sono tanti elementi che cambiano in continuazione”.
E questo a livello mentale, dopo aver preparato per mesi e anni una gara, come si accetta e affronta?
“Sta a noi prepararci a essere elastici. Una distanza così lunga ti fa capire molto di te stesso. Prendiamo l’esperienza di Kazan, in cui prima di vincere l’oro sono stato male fino a dare di stomaco: sapevo come tirarmi fuori da quella situazione e ho potuto contare su Emanuele e sul medico. Bisogna saper restare calmi e ricordarsi della preparazione fatta durante tutto l’anno. Quel giorno poteva succedere di tutto ma io ero pronto”.
Quanto c’è di vero nel pregiudizio che vuole il fondo come il rifugio di chi in piscina non è riuscito a dare il meglio?
“Forse era vero fino a qualche anno fa, ma ora sta cambiando molto anche grazie al fatto che è diventato una disciplina olimpica. Soprattutto, non è pensabile affrontare le lunghe distanze se non si è forti anche in vasca. E il ritmo della 10 km, ad esempio, oggi si è alzato tantissimo e si è sempre più veloci anche perché i bacini in cui si gareggia sono sempre più piatti”.
Sei d’accordo con chi dice però che oggi il movimento delle lunghe distanze in Italia si è spostato sul fondo perché negli 800 metri e nei 1.500 metri i ‘muri’ Paltrinieri e Detti sono impossibili da scavalcare?
“Eh sì, è proprio un muro e spero che per molti anni questi due ragazzi continuino a vincere. Però non penso a una rinuncia in partenza: se un ragazzo è predisposto per un 1.500 ci deve provare. Poi se non va, si può pensare a un “trasferimento’. Comunque la cosa fantastica è che il movimento del fondo stia crescendo molto, sia a livello agonistico che a livello amatoriale. Anche nel mondo master si è iniziato a capire la bellezza di uno sport all’aria aperta, al mare, da condividere con tutta la famiglia”.
Sei campione del mondo nei 25 km, che però non sono distanza olimpica. Ti mancherà questa distanza a Rio o pensi di poterti giocare bene le tue possibilità anche nella 10 km?
“Questa gara la sto costruendo. Con Emanuele abbiamo iniziato un progetto l’anno scorso per cambiare molti aspetti della mia preparazione. La 25km mi si addice di più anche a livello caratteriale: è una gara lunga, tranquilla, che riesco a tenere sotto controllo. Sarebbe bellissimo vederla all’Olimpiade, se non altro perché è la distanza con cui è nato il fondo. Certo, mi sembra un’utopia e posso capire i problemi del seguire mediaticamente una gara lunga cinque ore…”.
Mente e fisico. Cosa conta di più in 25 km?
“La testa è fondamentale in una competizione così lunga, direi al 70-80%. Anche quando il fisico non risponde più, se ci sono motivazione e concentrazione si può andare avanti. Capita che qualche ragazzo si faccia seguire a livello psicologico, perchè in questo tipo di sport ci si può anche perdere. Di solito è sufficiente parlarne con l’allenatore ma quando non basta serve un aiuto esterno. Io penso che per migliorare psicologicamente serva solo l’allenamento: più ti alleni e più sei pronto per la gara”.
A proposito di allenamenti: in fase di carico arrivi a toccare anche i 23 km al giorno. Ti è mai venuto un senso di nausea?
“Come no! Spesso si finisce col pensare ‘basta, non ce la faccio più. Oggi smetto.’ Ma alla fine, in venti anni, nuotare è la cosa migliore che riesco a fare. E ora non riuscirei a stare senza, mi sento molto appagato da quello che faccio, anche se a volte per la stanchezza neanche riesco a dormire e il giorno dopo devo ricominciare con 20 km. Ma del resto, a quanti capita di svegliarsi e non avere voglia di andare al lavoro? Oltretutto io se non mi alleno uno o più giorni metto a rischio tutto quello per cui fatico”.
Una volta finiti gli allenamenti, Simone fuori dall’acqua che fa?
“La mia giornata in vasca finisce intorno alle 17.30. A volte mi metto a letto, dormo e mi sveglio per la cena. Altrimenti mi piace tanto leggere, disegnare quello che mi passa per la testa, fare shopping. Insomma, uscire, fare passeggiate e staccare un po’ ci sta perché alla fine io abito qui (nella foresteria dell’Aquaniene, ndr). Cerco di crearmi un mio mondo, isolarmi per ricaricare le energie. E poi appena posso nei fine settimana torno a casa, a Tolentino: cerco il più possibile di cambiare aria, non pensare al nuoto… Per fortuna ancora riesco ad avere amicizie fuori dalla piscina, nonostante sia andato via da lì a 16 anni. Senza dimenticare che ci sono i miei genitori, mia sorella e la mia nipotina. Purtroppo Roma non la vivo, la sera la voglia di andarmi a fare un aperitivo a Ponte Milvio non ce l’ho. Per me conta molto mantenere un certo stile di vita: avere un’alimentazione corretta, andare in palestra, dormire le giuste ore di sonno. Insomma, a 26 anni non ho molti margini di miglioramento e devo tenere sotto controllo molti fattori”.
Parli di età e vengono in mente le vittorie ‘da grandi’, ad esempio di Cagnotto e Pennetta. È solo una coincidenza oppure le vittorie ‘mature’ conquistate curando di più i dettagli sono una nuova tendenza?
“È vero, ci si sta arrivando. Con qualche anno in più si ha l’esperienza giusta per capire di cosa abbiamo bisogno e cosa invece ci fa male”.
Nel tuo futuro cosa vedi?
“Dopo Rio penso di iscrivermi all’Università e rimettermi a studiare. Avevo cominciato Scienze Motorie, non ho ancora deciso se riprendere o cambiare indirizzo. Mi piacerebbe molto restare nell’ambiente, magari riuscire a gestire un impianto o diventare allenatore e riuscire a creare un bel gruppo di giovani”.
Roma 2024. Un sogno da sportivo, un’utopia da atleta?
“Eh, tra 9 anni ne avrò 35! Non lo so. Alla fine di ogni anno decido se andare avanti, oggi penso che se continuo così… Chissà! Se la testa ci sarà magari ci arrivo, magari invece dopo Rio smetto. A oggi realisticamente penso di continuare forse altri 4 anni, perché gareggiare a Tokyo mi piacerebbe molto. L’Olimpiade in casa, da italiano, sarebbe favoloso. Ma se fosse capitato prima sarebbe stato meglio!”.