Rio 2016

Rugby a 7, il ritorno della palla ovale all’Olimpiade

Rugby a 7 - CC BY-SA 2.0

Quando il 18 maggio 1924 si concluse il match decisivo tra Francia e USA per l’assegnazione della medaglia d’oro di rugby union dei Giochi Olimpici di Parigi, gli inferociti tifosi locali invasero il terreno di gioco per assalire il XV americano, “colpevole” di aver vinto facendo fuori a suon d’interventi durissimi la stella locale Adolphe Jaerenguy. Non potevano sapere di aver appena assistito ad un evento storico: quel burrascoso incontro sarebbe stato l’ultimo match olimpico di rugby tout court della storia. Difficile da organizzare e snobbato dalle nazionali principali (l’Inghilterra preferì non allestire un team per le Olimpiadi, in quanto si svolgevano in contemporanea alle finali di campionato), il rugby venne estromesso dalle discipline olimpiche, e per 92 anni nessun mediano di mischia è più entrato nell’olimpo decoubertiano.

Ma a Rio 2016 la palla ovale tornerà finalmente ad essere protagonista: dopo il quasi plebiscito ottenuto durante la votazione del CIO nell’ottobre 2009 (81 voti favorevoli, solo 8 contrari), in Brasile una disciplina rugbistica assegnerà medaglie, ma si tratterà questa volta del rugby a 7. Più veloce nei ritmi, più breve nella durata, più semplice da capire tatticamente, il rugby a 7 si presta in effetti molto più del rugby union e del rugby league a giocate spettacolari (leggi: grandi galoppate e piogge di mete) ed è pertanto più televisivo.

Si disputa su campi della stesse dimensioni del rugby a 15, e da esso ne trae tutte le regole, a parte un paio di eccezioni: dopo la meta, la realizzazione avviene tramite drop e non tramite calcio piazzato; e dopo una marcatura il gioco viene ripreso da chi segna e non da chi subisce. La durata è di due tempi da 7 minuti, tranne le finali, disputate su tempi da 10.

Semi-sconosciuto in Italia, vanta in realtà una tradizione secolare e milioni di appassionati in tutto il mondo. Padre fondatore, secondo i libri di storia, fu il leggendario Ned Haig: nella disperata ricerca per trovare fondi che tenessero in piedi il Melrose Football Club (Scozia meridionale), nel 1883 propose ai soci di organizzare un torneo di rugby, ma – viste le difficoltà nel mettere insieme team da 15 componenti tra i villaggi dei dintorni – trovò il modo di adattare competizione e regole a squadre di soli 7 giocatori. Il primo torneo si svolse il 28 aprile dello stesso anno: l’enorme successo che riscosse fu il volano per la nascita di una vera e propria disciplina, e tra circa un mese, il 9 aprile, nella cittadina scozzese si terrà la 126esima edizione della gloriosa “Melrose Sevens”.

Oggigiorno, i tornei principali sono: la Coppa del Mondo, le World Rugby Sevens Series (a cui partecipano le 16 nazioni dell’élite mondiale, con una retrocessione l’anno) e le Sevens Grand Prix Series (l’equivalente europeo): le Series sono veri e propri campionati itineranti, le cui tappe si disputano nel corso dell’anno in città di tutti i cinque continenti.

Il rugby a 7 vanta una buona diffusione anche a livello femminile: le Grand Prix Series rosa sono nate quasi in contemporanea a quelle maschili, e a Rio 2016 verranno disputati tornei da 12 squadre per entrambi. La geografia politica non differisce molto da quella delle altre discipline: a farla da padrone sono le nazioni del Regno Unito e le ex colonie del Commonwealth, con menzione di spicco per le minuscole Fiji, nettamente più forti a 7 e in grado di portare a casa addirittura due edizioni delle World Rugby Sevens Series.

Se il rugby a 15 ha impiegato anni prima di ritagliarsi uno spazio importante in Italia, il rugby a 7 e il “terzo fratello” rugby a 13 vivono ancora nell’ombra. Per quanto la nazionale a 7 sia riuscita sporadicamente ad ottenere buoni risultati nelle Sevens Grand Prix Series (2° posto sia a livello maschile che femminile nel 2004, 3° posto maschile nel 2005, 2006 e 2009), ça va sans dire che in Brasile nessuna nostra rappresentativa è stata ammessa.

L’auspicio ovviamente è che le luci della ribalta di Rio possano aumentare il numero di appassionati e di praticanti in tutte e tre le varianti del rugby.

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