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Rio de Janeiro come Londra. Da Gianni Petrucci a Giovanni Malagò. A quattro anni di distanza la spedizione azzurra si ripete con numeri praticamente identici in termini di medaglie: ventotto erano state nella città britannica e ventotto sono state nella spedizione brasiliana, otto gli ori quattro anni fa e otto gli ori a Rio, Italia nona sia a Londra che in Brasile.
L’obiettivo minimo, in termini numerici, è stato ampiamente centrato. Gli azzurri e le azzurre si sono dimostrati competitivi in molti degli sport di tradizione italiana e sono riuscite e portare svariate medaglie (11 su 28 provengono dai tiri e dalla scherma). Ma bisogna fare delle considerazioni doverose soprattutto sui due sport che coprono maggiormente il palcoscenico olimpico: l’atletica e il nuoto. Cominciamo dai numeri che difficilmente possono essere appellabili: l’Italia ha preso zero medaglie nell’atletica e quattro nel nuoto (Paltrinieri oro 1500 stile libero, Detti bronzo 1500 stile libero e 400 stile libero, Rachele Bruni argento nella 10km a mare aperto). Poi però bisogna andare a scavare dentro i due movimenti e, nessuno si offenda, si può tranquillamente dire che i risultati dell’atletica italiana sono comparabili ed equiparabili a quelli del nuoto.
Le motivazioni sono abbastanza chiare. Nel nuoto tutti i nostri principali interpreti hanno nuotato nella piscina di Rio, confrontandosi con i big di tutti i continenti. E i risultati che sono usciti fuori sono stati insufficienti. Ovviamente questa è una considerazione complessiva, poi Gregorio Paltrinieri e Gabriele Detti hanno fatto qualcosa di straordinario. Ma sono mancate le fondamenta. Tutti gli atleti italiani che ben si erano destreggiati in ambito europeo e nazionale hanno quasi tutti fallito la prova più importante venendo eliminati o nelle batterie o in semifinale. E nell’atletica? Cosa cambia? Bisogna fare dei distinguo importanti: è vero che l’Italia ha preso zero medaglie, ma a livello femminile ha tutt’altro che sfigurato raggiungendo risultati storici (Antonella Palmisano quarta nella 20km di marcia, Alessia Trost quinta nella finale del salto in alto, la staffetta 4X400 sesta e Libania Grenot ottava nella finale dei 400 metri). Troppo poco direte voi. Non c’è nessun dubbio. Ma se ci aggiungiamo che i due personaggi che potevano portare tre medaglie quasi garantite non erano presenti, per motivi diversi, le considerazioni cambiano totalmente. Gianmarco Tamberi e Alex Schwazer avrebbero potuto davvero dire la loro e prendere le medaglie necessarie per pareggiare le medaglie del nuoto (inteso come piscina). In più, nell’atletica, si vedono molti margini di miglioramenti in molti degli atleti e delle atlete presenti e non presenti a Rio.
Per il resto l’Italia, oltre ai due nomi già citati sopra, è stata molto sfortunata con Vincenzo Nibali (ciclismo) e Vincenzo Mangiacapre (pugilato), costretti a ritirarsi. Se a questi aggiungiamo i flop abbastanza clamorosi di Arianna Errigo (scherma) e del duo Giulia Conti-Francesca Clapcich (vela) la compagine azzurra poteva davvero arrivare molto vicina al record storico di medaglie conquistate in un’Olimpiade (36 sia a Roma 1960 che a Los Angeles 1932). In conclusione gli azzurri tornano da Rio de Janeiro con una sufficienza ampia e meritata, con tante cose da cui ripartire, ma con tante cose su cui soffermarsi, ragionare e agire. In vista di Tokyo, ma non solo.