C’era un bambino ad Atella, provincia di Potenza, che ogni estate tornava dalla Svizzera insieme ai genitori. Portava con sé una bicicletta, legata al tettuccio della macchina del babbo. Ogni volta che poteva, sfrecciava via per le strade del borgo, si arrampicava sulla strada che porta alla Torre Angioina e poi si lanciava in picchiata, con il vento sulla faccia. Il suo nome era Fabian Cancellara. Da grande, avrebbe fatto il campione olimpico di ciclismo.
“Una soddisfazione immensa” – sorride la zia Incoronata e il ricordo del nipote fuoriclasse corre sulla linea del telefono con la velocità di una volata – “non si separava mai dalla sua bicicletta, arrivava fino ai laghi di Monticchio (località turistica del Vulture, ndr), era bravissimo!”. La famiglia Cancellara che vive in Basilicata ha assistito alla prova a cronometro di Rio 2016 a casa, davanti alla televisione. Ha esultato quando l’orologio si è fermato sul miglior tempo. Si è commossa quando Fabian ha messo al collo il suo secondo oro ai Giochi, dopo quello di Pechino 2008.
Un campionissimo, Cancellara. Il re delle corse da un giorno (mister Roubaix, con tre vittorie in carriera sul pavé), il signore del tempo, il campione del mondo per ogni stagione. Ma, soprattutto, un uomo vero, legato alla sua terra di origine e alla sua famiglia. Come quando, nel 2012, nel tagliare trionfante il traguardo delle Strade Bianche, alzò il dito al cielo per dedicare la vittoria allo zio scomparso.
LA DEDICA DI CANCELLARA SUL TRAGUARDO DI SIENA, STRADE BIANCHE 2012
Svizzero sul passaporto, lucano nel cuore. La “favola atellana” di Cancellara non ha niente a che fare con la commedia latina arcaica. È una narrazione d’altri tempi, che contiene il dramma dell’emigrazione e la redenzione di chi riesce a venirne fuori. “Cancellara ha vissuto nel bianco e nero dei quartieri operai di Berna – dice un altro concittadino illustre del neo-campione olimpico, lo scrittore Giuseppe Lupo, Premio Selezione Campiello con L’ultima sposa di Palmira -. Ma ha saputo colorare la sua vita grazie all’iride del campione del mondo. Nell’anno in cui si ricorda il sessantesimo anniversario di Marcinelle, di una pagina nera dell’emigrazione, Cancellara offre un messaggio di speranza per tutti quelli che hanno lasciato la propria terra, le proprie campagne, per cercare fortuna altrove”.
La “locomotiva di Berna” o “Spartacus”, come lo chiamano i suoi tifosi, ha chiuso ieri la sua carriera con il sigillo più bello. E ora che i ritmi frenetici del corridore rallenteranno un po’ per far posto a quelli più miti del padre di famiglia, i suoi “concittadini” non vedono l’ora di riabbracciarlo. “Cancellara è uno di noi – ha detto Nicola Telesca, sindaco di Atella – è un modello positivo per la nostra comunità. Ci stiamo preparando a ospitarlo da trionfatore: a breve, organizzeremo un’iniziativa in suo onore e speriamo di poterlo incontrare al più presto”.
Il tramonto d’oro di Cancellara, dunque, illumina anche la Basilicata. Con quella luce obliqua, colpisce il Monte Vulture e ne rende ancora più preziosi i suoi boschi. Nella millenaria storia degli eroi di questa terra, entra di diritto il campione svizzero che, da ragazzo, imparò a conoscerla e ad amarla in sella alla sua bici.