Vincenzo Mangiacapre, medaglia di bronzo a Londra 2012, è pronto a volare ai Giochi Olimpici di Rio. E’ il più giovane dei pugili figli di Marcianise, una terra magica per la boxe italiana. Nella lista che vede già Angelo Musone, Clemente Russo e Domenico Valentino c’è anche lui, murzett, come lo chiamano da quando era bambino, un soprannome in cui si è sempre rispecchiato. “E’ il diminutivo di un tipico dolce napoletano – spiega nell’intervista esclusiva a Sportface.it a poche settimane dalla gara più importante, in Brasile – Riflette benissimo il mio carattere, duro all’esterno, dolce dentro. Sono sempre stato un ragazzo emotivo”.
Nato il 17 gennaio del 1989, per Mangiacapre l’amore per il pugilato è precoce. “Sono entrato in palestra per la prima volta a 9 anni, mi sono innamorato di questo sport e non l’ho più lasciato – racconta – devo dire che tra le motivazioni c’era anche quella del peso, da bambino era grassottello e lo sport mi ha aiutato a dimagrire”. Da lì un percorso di sacrifici, rinunce e tanto impegno, qualche momento difficile ma sempre con la volontà e la determinazione a rialzarsi anche grazie alla presenza di un ct come Raffaele Bergamasco. “Con lui ho un rapporto particolare, ha messo sempre la faccia per me, ha scommesso su di me. Nel 2009 persi la finale dei campionati italiani assoluti, lui mi venne vicino, mi prese in disparte e mi incoraggiò”.
Nel 2011 l’approdo alle Fiamme Azzurre e l’inizio di una carriera che lo ha visto disputare due europei (due bronzi) e una Olimpiade, Londra 2012 dove ha partecipato da outsider strappando una medaglia di bronzo e gli applausi da parte del mondo della Boxe. La scommessa di Bergamasco sembra assumere sempre più le sembianze della certezza: la conversazione non può non toccare il tema di Rio 2016 e la notizia è il suo passaggio di categoria dai superleggeri ai pesi welter. “Le mie sensazioni? Buone, sto abbastanza bene, mi sto preparando al meglio. Devo dire che rispetto alla prima esperienza mi sento più tranquillo”.
Ma quali sono gli obiettivi? “A Londra avevo 23 anni, si dice che la maturazione di un pugile avvenga tra i 27 e i 28 anni, ora ne ho 27. Diciamo che punto a colorare la medaglia e per colorare la medaglia intendo proprio quello, hai capito dai…”, risponde. La parola “oro” aleggia nell’aria ma non viene usata, ma la scaramanzia non c’entra (“Non lo sono per niente”). Impossibile fare previsioni sul podio: “Non si può, al momento non si possono fare pronostici. Siamo tutti sullo stesso livello, conta solo chi arriva a Rio meglio fisicamente e mentalmente. Come mi preparo? Non ascolto musica e niente di tutto questo. Il mio modo di rilassarmi prima di scendere sul ring è sdraiarmi sul letto, il sonno mi aiuta”.
Una Olimpiade, quella di Rio, segnata da una svolta epocale nel mondo della boxe: l’Aiba ha aperto le porte dei Giochi ai pugili professionisti. “E’ una sciocchezza per me – non usa giri di parole Mangiacapre – loro hanno molto da perdere. Adesso ti faccio un esempio, immagina se Pacquiao dovesse gareggiare e perdere con un dilettante, la sua immagine ne perderebbe. Io se fossi professionista non accetterei: professionismo e dilettantismo sono due sport diversi per me, agli opposti”.
Ma quali avversari teme di più il pugile di Marcianise? “Temo solo un avversario e si chiama Vincenzo Mangiacapre. Ho paura solo di me stesso, non guardo in faccia nessuno sul ring, quando c’è una competizione non guardo nemmeno i sorteggi, penso solo a me. A cosa rinuncerei per vincere l’oro? Ho già fatto molti sacrifici, perciò sono disponibile a rinunciare a qualsiasi cosa. A 14 anni ho dovuto rinunciare alla famiglia e agli amici, perciò sarei disposto a tutto”. A due mesi dall’accensione della torcia olimpica di Rio, Vincenzo Mangiacapre è carico e pronto a stupire di nuovo.