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“Questa era l’età perfetta. Non sono riuscita a gestire la tensione, mi è mancata la lucidità. Mi sentivo distrutta”. Poche, semplici parole per raccontare e analizzare una débâcle sorprendente, davvero inattesa. La prematura uscita di scena di Arianna Errigo dalla corsa al titolo olimpico del fioretto ha il sapore amaro della delusione, la più grande per il team azzurro in questi primi giorni di gare. La numero uno del ranking mondiale ha pagato a caro prezzo il ruolo di favorita ed è stata clamorosamente eliminata negli ottavi di finale dalla canadese Harvey, subendo una rimonta incredibile. Proprio lei, abituata a travolgere le avversarie come un uragano (non a caso è soprannominata “TsunAry”), si è lasciata sopraffare dall’ansia e dalle emozioni. Arianna voleva vincere a tutti i costi per riscattare l’argento di Londra, quella sconfitta mai digerita contro Elisa Di Francisca. Invece si è fermata sul più bello, lasciando la jesina a destreggiarsi da sola contro le fortissime russe, in una disciplina che dal 1996 ha sempre regalato il metallo più prezioso all’Italia. La campionessa uscente ha confermato ancora una volta la bontà della scuola marchigiana, ma non è riuscita a bissare il trionfo di quattro anni fa perché l’oro è andato a Inna Deriglazova, brava a sfruttare un blackout dell’avversaria nel secondo assalto (parziale addirittura di 7-0) e a resistere alla rimonta finale. Una resa onorevole per Elisa, lucida fino in fondo e sicura dei propri mezzi nonostante la grande pressione e il dovere, da “sopravvissuta”, di non deludere le aspettative, sempre alte, che ci sono intorno alle fiorettiste tricolori. Preoccupano però, anche in prospettiva futura, questi cali, questa mancanza di continuità. Anche Rossella Fiamingo, qualche giorno fa, si è piantata sul più bello, a un passo dall’Olimpo. Eccessi di sicurezza, troppa tensione o semplice bravura delle avversarie? Nonostante la scherma continui ad essere la fabbrica di medaglie per eccellenza, il dubbio resta.
Più di un dubbio (insieme a una grande amarezza), invece, accompagnerà Alex Schwazer nel volo di ritorno in Italia. Il marciatore altoatesino ha ricevuto ieri la notizia peggiore, quella che mette fine ai suoi sogni a cinque cerchi e, probabilmente, alla carriera: il Tas gli ha inflitto una squalifica di otto anni. Sulla condanna pesa la recidività, perché quella riscontrata nel campione prelevato a gennaio è la seconda positività di Schwazer, dopo la nota vicenda che sconvolse la squadra italiana durante i Giochi di Londra. Stavolta, però, non arriverà alcuna confessione e si andrà avanti per far luce su un caso a dir poco torbido. Rio era l’occasione che Alex aspettava per riabilitarsi agli occhi di tutti. Per recuperare un’immagine compromessa e tornare ai livelli di Pechino si era affidato, non a caso, alle cure di Sandro Donati, paladino dell’antidoping per eccellenza. Donati, membro della Wada, è un personaggio molto particolare: da anni, grazie alla passione per le “verità scomode”, combatte contro le irregolarità del mondo dello sport. Lo ha fatto attraverso la pubblicazione di libri diventati di culto tra gli appassionati, come “Lo sport del doping”. L’ipotesi del complotto ai danni di una coppia pronta a stupire e a rivoluzionare, quindi, è tutt’altro che remota, anche perché i risultati ottenuti da Schwazer erano stati subito fenomenali, e il suo ammettere candidamente che l’utilizzo di qualsiasi sostanza (anche lecita) sia inutile nella pratica sportiva potrebbe aver indispettito più di qualcuno. Alex aveva ottenuto il pass olimpico stravincendo i Mondiali di Roma lo scorso 8 maggio. Un’affermazione che aveva però lasciato strascichi (attesi) di polemiche, un “carico d’odio” (come lo definì Donati) ingombrante. La Iaaf, con un tempismo perfetto, si è precipitata a ricontrollare la provetta di gennaio già analizzata (con esito negativo) trovando, grazie ad analisi più approfondite, tracce di testosterone più alte della norma. Tra l’altro, per chiudere il cerchio delle stranezze, in tutti gli altri test effettuati non era stata riscontrata alcuna anomalia e la notifica della positività è stata comunicata con colpevole ritardo. Il resto lo conosciamo: la strenua difesa, la corsa contro il tempo, il viaggio della speranza, le otto ore di udienza e la mazzata definitiva. Alex Schwazer non sarà in gara nella 50 km di marcia e la sua squalifica, giusta o meno che sia, non cancellerà il marcio che da anni corrode lo sport, almeno fino a quando continuerà ad esserci un sistema in cui prevalgono interessi e collusioni e in cui le regole vengono adattate alle necessità del momento. Con buona pace di chi brinda, al di là della colpevolezza, sulle disgrazie di uno sventurato.