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Come lui nessuno mai. Quattro per quattro, ma più di un fuoristrada. Un trattore, un caterpillar, un bulldozer. Asfaltata la storia, spazzati via gli avversari. Signori, Michael Phelps. Primo uomo nel nuoto a vincere per la quarta volta la stessa gara in quattro Olimpiadi diverse. Ore 23.12 brasiliane, nella vasca di Rio vanno in scena i 200 misti e lui c’e’. Come a Londra, Pechino, Atene. Roba che se ogni volta aveste comprato un giornale, in prima pagina ci avreste trovato sempre lui. Identico, spiccicato, capelli più o meno lunghi, forse. La pelle un po’ meno liscia, magari. Ma inarrestabile e inafferrabile, oggi come nel 2004. Basta vedere la progressione immensa con cui nell’ultimo 50 ha acceso i razzi e va beh, ciao a tutti con la manona.
E al netto delle ultime due virate non proprio perfette, va detto, perche’ anche gli alieni sbagliano. A 31 anni appena compiuti nessuna traccia di stanchezza, nessuna prestazione offuscata, neanche un’ombra di suspence che potesse far presagire l’anticamera… di cosa poi? Di due o tre medaglie vinte al posto delle quattro o cinque, come minimo, con cui ci ha abituato? No, oggettivamente non convince.
In realta’ Michael aveva provato a tirarci uno scherzo. Un crollo l’ha avuto pure lui con marijuana, alcol, la sospensione della federazione americana che l’anno scorso gli ha impedito di nuotare ai mondiali di Kazan, nonostante avesse finito di scontare la squalifica di sei mesi. Poi pero’ il campione (vero) ha messo la testa a posto, è ripartito dal basso come un esordiente qualsiasi ed e’ salito sempre più su. Ha trovato la donna della sua vita, e’ diventato papa’ e adesso a ogni inno sul podio sono lucciconi e sospiri a spezzare l’affanno della vittoria. Metamorfosi di un campione che alla fine resta sempre lo stesso. Vincente, squalo, cannibale: la fenomenologia del trionfo ha tanti aggettivi e un’unica faccia, la sua. Ah scusate. Sembra impossibile ma per un attimo ce lo siamo dimenticati: con questa fanno 22 medaglie d’oro su un podio olimpico. E non e’ finita qui.