Sorelle d’Italia. La portabandiera alla cerimonia d’apertura dei Giochi di Rio 2016 sarà Federica Pellegrini mentre toccherà a Martina Caironi, la più forte al mondo sui 100 piani, guidare la delegazione azzurra alle Paralimpiadi. La campionessa del nuoto sarà la quinta donna alfiere in 104 anni di Giochi estivi, la terza negli ultimi 20 anni. Lo sport italiano è sempre più rosa.
Sono passati 96 anni dai Giochi di Anversa quando l’unica donna era la tennista Rosetta Gagliardi, la prima atleta italiana ad entrare nella storia dei cinque cerchi. Per finire tra le leggende olimpiche possono bastare anche 11 secondi e sette centesimi: quelli che ai Giochi di Berlino del 1936 sono serviti a “Ondina” Valla negli 80 metri ostacoli per diventare la prima ragazza d’oro dello sport italiano. Il sole, e la vittoria, in un sorriso.
Mentre sotto la pioggia di Helsinki nel 1952 a scrivere una pagina indimenticabile di olimpismo fu una ginnasta romagnola che non aveva neanche 16 anni: Miranda Cicognani, la prima portabandiera donna ad un’Olimpiade estiva.
Ora tocca alla divina Fede, la prima nuotatrice a sventolare il tricolore. La campionessa veneta raccoglie il testimone da Valentina Vezzali, portabandiera a Londra 2012. Da Nedo Nadi alla plurimedagliata fiorettista di Jesi, passando per “mister Olimpia” Edoardo Mangiarotti e Giovanna Trillini, la scherma – oltre ad essere la fabbrica di medaglie dello sport italiano ai Giochi (83, 48 d’oro) – è la disciplina che detiene il record di portabandiera (7), seguita da atletica e ginnastica. Dalla ginnastica viene anche il primo alfiere azzurro, Alberto Braglia che dopo aver portato la bandiera ai Giochi di Stoccolma andò a medaglia secondo una felice tradizione che annovera, tra gli altri, anche il signore degli anelli, Yuri Chechi, alfiere azzurro all’Olimpiade di Atene nel 2004.
La Pellegrini, alla quarta partecipazione olimpica, ha superato la concorrenza di Clemente Russo, Flavia Pennetta, Tania Cagnotto e del campione del tiro al volo Giovanni Pellielo, alla sua settima olimpiade. Meglio di lui solo Josefa Idem e i fratelli Piero e Raimondo D’Inzeo, campione olimpico a Roma ’60 e testimonial azzurro ai Giochi di Città del Messico ’68.
La scelta del portabandiera è un po’ come quella del ct della Nazionale o del presentatore del Festival di Sanremo: fa sempre discutere. Nel 2012 a suscitare polemiche fu il rifiuto “a malincuore” di Federica Pellegrini alla proposta ventilata dal Coni: “Troppa fatica – disse la campionessa veneta – dovrei stare in piedi mezza giornata”. Anche chi aveva la maglia azzurra tatuata sul cuore e sui muscoli come Pietro Mennea raccontò di aver spesso saltato la cerimonia d’apertura tranne a Seul nel 1988 quando fu scelto come alfiere: “Ero senza ambizioni di medaglia, accettai con piacere”.
Orgoglio e senso di appartenenza. Quello che esibì a Barcellona ’92 nello sventolare il vessillo il mito del canottaggio Giuseppe Abbagnale. Il valore della maglia azzurra negli anni in cui ci si emozionava anche solo a far parte della nazionale, come disse la gloria dell’atletica azzurra, Sara Simeoni, che sfilò col tricolore a Los Angeles nel 1984. Semplice, discreta, sobria. Una campionessa normale. Come Giovanna Trillini, un altro prodotto della scuola di scherma di Jesi e del Dream Team italiano del fioretto, che ad Atlanta sfilò in testa a tutti in tailleur bianco e polo azzurra.
Ogni portabandiera incarna uno stile e racconta anche le trasformazioni di un Paese. Il cestista Carlton Myers, nato a Londra da padre caraibico e madre italiana, a Sidney diventò un simbolo di integrazione, il testimonial dell’Italia “multietnica”. Il sorriso di Federica Pellegrini il 5 agosto al Maracanã racconterà di un Paese sportivo con 11 milioni di tesserati e 22 milioni di praticanti che sogna in grande (Roma 2024) e prova a consegnare al mondo la sua immagine migliore. Stupendamente giovane e – si spera – vincente.