In Francia si era giunti da appena un anno alla revisione del processo nell’”affair Dreyfus”, uno dei più macroscopici errori giudiziari della storia. In Gran Bretagna, sotto la guida di Ramsay McDonald, nasceva il Partito Laburista. Negli Stati Uniti d’America veniva rieletto presidente, per il secondo mandato, il repubblicano William McKinley, il tutto mentre a New York City entrava in funzione il primo bus elettrico della storia. Il fisico tedesco Max Planck enunciava la “teoria dei quanti”, rovesciando tutte le ipotesi precedenti quanto al modo di flusso dell’energia. In Italia l’anarchico toscano Gaetano Bresci uccideva a colpi di pistola il re Umberto I di Savoia, gridando vendetta per le vittime della repressione milanese di due anni prima. Si alzava in volo, sui cieli d’Europa, il primo dirigibile, progettato dal tedesco Ferdinand von Zeppelin, mentre sulla terra veniva inaugurata l’ultima Esposizione Universale del XIX secolo, madre di tutti i guai della seconda edizione dei Giochi Olimpici, Parigi 1900.
Seconda edizione, ma in realtà avrebbe dovuto essere la prima. La scelta di restaurare l’antica tradizione olimpica e di selezionare la città che avrebbe dovuto ospitare la prima edizione dei Giochi Olimpici moderni venne dichiarata ufficialmente nel 1894, durante il primo congresso olimpico organizzato da Pierre de Coubertin presso l’Università della Sorbona, a Parigi. Su proposta dello storico, la prima Olimpiade della storia contemporanea venne assegnata alla capitale francese durante l’Esposizione Universale, nel 1900. I delegati (ben 78, in rappresentanza di quarantanove club sportivi delle tredici maggiori potenze mondiali), però, lo convinsero che sei anni di attesa sarebbero stati troppi, suggerendo Atene come luogo ed il 1896 come data. Al termine della prima Olimpiade (scadente sul piano tecnico ma eccellente su quello organizzativo) i greci, convinti che i Giochi si sarebbero sempre svolti nella loro capitale, formalizzarono tramite Re Giorgio I una richiesta in tal senso, trovando, ahiloro, una ferma opposizione da parte di de Coubertin (subito etichettato come “ladro delle tradizioni greche”) e del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), irremovibili dall’idea originale di assegnare i Giochi ad una città sempre diversa.
L’Olimpiade del 1900 scricchiolava già prima di iniziare. L’anno successivo ai Giochi di Atene, nel 1897, de Coubertin aveva fissato un nuovo congresso, proprio con il fine di gettare le basi per l’edizione seguente. I primi attriti non tardarono ad arrivare. Anzitutto quelli fra il barone francese ed il responsabile di Expo 1900, Alfred Picard, un ufficiale di stampo conservatore, privo di qualsiasi forma di rispetto verso lo sport e gli sportivi, che considerava l’Olimpiade una “inutile e assurda attività”. Picard, come prima cosa, bocciò in tronco l’ambizioso progetto di de Coubertin che prevedeva una fedele ricostruzione dell’antico sito di Olimpia, con templi, stadi, statue e palestre. Nonostante tutto fu comunque prodotto un vasto programma che comprendeva tantissime discipline e le iscrizioni non tardarono ad arrivare. Troppo bello per essere vero. L’irruzione della “Unione delle società sportive atletiche francesi” (USFSA), di cui de Coubertin era segretario generale, rischiò di far saltare tutto. L’Ente, infatti, comunicò che avrebbe avuto il diritto esclusivo di organizzare qualsiasi evento sportivo svolto durante l’Esposizione Universale.
Il visconte di La Rochefoucauld (nominato presidente del comitato organizzatore dei Giochi) si dimise immediatamente, infastidito dalle frizioni politiche, cercando di trascinare con sé l’indomabile de Coubertin. Il dado era tratto. Nel 1899 Picard nominò Daniel Merillon a capo della nuova organizzazione, il quale, nel mese di giugno dello stesso anno, aveva già diffuso un nuovo programma. Questo prevedeva che l’Olimpiade si sarebbe tenuta a Vincennes e le discipline sarebbero state inserite nelle diverse sezioni dell’Expo (ad esempio, la ginnastica nella sezione scolastica, la vela nella navigazione commerciale o, addirittura, la scherma nella coltelleria). In un batter d’ali, quasi tutte le adesioni ricevute dalla precedente organizzazione caddero nel nulla.
De Coubertin, dal canto suo, tentò di salvare il salvabile, viaggiando in tutta Europa con l’intento di convincere i responsabili di aderire alla nuova proposta di Merillon, con scarsi risultati. Lo sforzo economico del governo francese si concentrò prevalentemente sull’Esposizione Universale, dimezzando i fondi ai Giochi.
Finì che all’interno dell’Expo vennero organizzati centinaia di eventi sportivi inseriti nel programma della Fiera, così bizzarri, diversi e senza un filo conduttore fra loro che solo alcuni ricevettero l’etichetta di “competizione olimpica”. Le gare, nella preziosa descrizione postuma data dalla “Società Internazionale degli Storici Olimpici”, furono descritte come “concorsi internazionali di esercizi fisici e sport”, mentre la stampa di allora preferì parlare di “Giochi Mondiali”.
In questo clima surreale, il 14 maggio 1900, ebbero inizio i più lunghi (cinque assurdi mesi) Giochi Olimpici dell’era moderna.
A livello numerico, fu un discreto successo: oltre 1200 atleti, rispetto ai 245 di Atene, in rappresentanza di 24 paesi. Assolute novità rispetto all’edizione di quattro anni prima furono la presenza delle donne (in numero di 22) e l’esclusione degli atleti dilettanti (con eccezione per la scherma), anche se nei successivi criteri di calcolo le gare aperte ai professionisti vennero, ovviamente, scomputate. Dalla confusione emergeranno 18 sport e 95 gare, alcune dai risvolti folli ma non del tutto imprevedibili. Fecero il loro esordio rispetto a quattro anni prima il golf, il croquet e ben cinque sport di squadra: calcio, cricket, pallanuoto, polo e rugby. Vennero inoltre inserite nel programma una moltitudine di gare dal sapore tutt’altro che olimpico e dal destino segnato, come il tiro al piccione vivo, i 200 metri nuoto a ostacoli, la corsa degli aquiloni, i 60 metri subacquei e il tiro alla fune. L’atletica si erse a regina della manifestazione. Le gare si svolsero sulle piste e sulle pedane del Racing club di Francia, al Bois de Boulogne. Si corse su una pista in erba, piena di buche e sassi, il cui rettilineo finale si incastonava fra alberi di ogni tipo, in mezzo ai quali finì spesso il disco lanciato dai concorrenti, rendendo quasi impossibile verificarne i risultati.
Mattatori della competizione, ovviamente, due americani: Alvin Christian Kraenzlein e Raymond Clarence Ewry. Kraenzlein, di origine tedesca, si portò a casa quattro ori individuali (che in realtà consistevano in libri e un ombrello), un record ineguagliato e forse ineguagliabile, vista la grande specializzazione dell’atletica moderna. Suoi furono i 60 metri, i 110 e 200 ostacoli e il salto in lungo, spesso esito di qualifiche e gare semideserte per motivi religiosi (i cattolici si rifiutarono di gareggiare la domenica, così come gli ebrei fecero per il sabato) o presunti tali in patetiche menzogne delle rispettive federazioni.
Decisamente più particolare la favola di Raymond Ewry, la “rana umana”, vincitore di ben tre ori nello stesso giorno (16 luglio): salto in alto da fermo, in lungo da fermo e triplo da fermo. Colpito dalla poliomelite e giudicato inguaribile dai medici, Ewry con coraggio e forza di volontà riuscì ad inventare dei particolari esercizi di riabilitazione e a sconfiggere la malattia, divenendo uno dei maggiori precursori della ginnastica isometrica. Poco pervasa dallo spirito olimpico anche la “gara regina”, la maratona, ancora oggi legata al ricordo di un probabile imbroglio in favore degli atleti di casa Michel Theato (poi scoperto lussemburghese) ed Emile Champion (rispettivamente primo e secondo classificato). Quinto classificato fu l’americano Newton che dopo l’arrivo aspettò invano l’incoronazione convinto di essere arrivato primo e che quando si accorse di non esserlo intentò una causa al CIO (immediatamente cestinata) sostenendo che i suoi rivali avessero preso delle scorciatoie.
Alla mancanza di un impianto idoneo per il nuoto si sopperì recintando un tratto della Senna, dove la corrente a favore contribuì a registrare una valanga di record del mondo. Il tedesco Ernest Hoppenberg, oro nei 200 dorso, rischiò di morire soffocato dalla sua dentiera; le uniche due iscritte al torneo di pallanuoto, Francia e Inghilterra, si affrontarono seguendo ognuna le proprie regole, mentre l’arbitro tedesco decise di applicare il regolamento vigente in Germania. La rissa fu inevitabile.
Certa di passare alla storia è anche la gara “due con” di canottaggio per la vicenda di un giovane sconosciuto che fu rimediato tra gli spalti dagli olandesi Klein e Brandt per sostituire il loro timoniere in evidente sovrappeso; il ragazzo condusse la coppia alla vittoria ed è oggi sospettato di essere il più giovane medagliato olimpico della storia, dato che dall’unica fotografia che è giunta ai giorni nostri non dimostra più di dieci anni. Il primo oro femminile individuale andò a Charlotte Cooper, nel tennis, mentre il primo in senso cronologico se lo aggiudicò Helen de Pourtales, nella vela, in un equipaggio misto di cui faceva parte anche il marito.
Capitolo “azzurro”. L’Italia a Parigi non inviò una vera e propria rappresentativa ma solo 25 atleti, sparsi nelle diverse competizioni. Solamente due gli esponenti nell’atletica, il velocista Umberto Colombo ed il mezzofondista Emilio Banfi, che non ottennero risultati positivi. Andò decisamente meglio a schermidori (10 partecipanti), ciclisti (7) e agli allievi del capitano Federico Caprilli nell’equitazione. In sella al cavallo Oreste (preparato segretamente da Caprilli, al quale era stato vietato dal Ministero della Guerra di recarsi a Parigi per motivi di sicurezza), il conte Gian Giorgio Trissino vinse un oro e un argento. Nella scherma (dove potevano confondersi maestri e dilettanti), due furono i maestri italiani di gran nome che gareggiarono a Parigi: Antonio Conte, un perfezionista della spada, e Italo Santelli, livornese trapiantato a Budapest e padre fondatore dell’illustre scuola di sciabola magiara. In finale ad imporsi fu Conte, mentre Santelli, ventiquattro anni dopo, fu protagonista involontario di un incidente “diplomatico-sportivo” che coinvolse, sempre a Parigi, italiani e ungheresi e che si risolse nella cancellazione del suo argento olimpico da parte del Coni che lo considerò un traditore.
L’Olimpiade andò in archivio il 28 ottobre, senza nemmeno la cerimonia di chiusura. L’esperienza parigina depresse notevolmente de Coubertin, ma non al punto di scoraggiarlo dal dare il via libera a St. Louis 1904, sempre in accoppiata con l’Esposizione Universale. Passi avanti rispetto ad Atene erano stati compiuti, ma sotto tanti aspetti c’era ancora parecchia strada da fare: “discipline” come il tiro al piccione, gare goffamente truccate o andate deserte per motivi religiosi lasciavano i giochi ancorati in una fase di pre-modernità, che era necessario superare per portare nel secolo nuovo la fiamma del tedoforo.