Andrea Tiberi ha sudato le proverbiali sette camicie per regalarsi il sogno olimpico e alla fine ha vinto lui. Come nel 2015, al campionato italiano di mountain bike di Volpago del Montello. “Il momento più alto della mia carriera, non della vita perché credo che nel ‘mondo reale’ siano altre le cose più importanti”. Il biker piemontese ha, infatti, da poco superato l’ostacolo più duro che gli sia mai capitato davanti, ben più ostico di quelli che incontra normalmente sui tracciati del cross-country in giro per il mondo. A febbraio è finito sotto i ferri: un nodulo sospetto ha reso necessaria l’asportazione completa della tiroide. Un’operazione di routine, ma se sei un atleta e in più ti trovi nell’anno olimpico non è propriamente il massimo. Andrea è tornato alle gare a poco più di un mese dall’intervento. “È stata una corsa contro il tempo, la qualificazione olimpica era troppo importante”, ha rivelato a Sportface.it. Passo dopo passo sta recuperando la forma ottimale, ma, proprio alla luce di ciò che ha passato negli ultimi mesi, in Brasile non correrà con la pressione di dover vincere a tutti i costi. Ecco quello che ha raccontato in esclusiva ai nostri microfoni.
Andrea, quando il ct Hubert Pallhuber ti ha comunicato che eri stato scelto per Rio qual è stata la tua prima reazione?
“Ho tirato un sospiro di sollievo (ride, ndr). Era una notizia che aspettavamo con ansia, anche se era prevedibile. Però avere la certezza ti dà quella tranquillità di dire ‘ok, ora posso pensare alla gara’”.
Come ti stai preparando per questo grande evento?
“Finita la primavera, con le ultime gare che contavano per la selezione olimpica, era il momento di staccare e tirare un po’ il fiato. Mi sono riposato e ora sono pronto a iniziare la preparazione vera e propria per raggiungere il picco di forma all’Olimpiade. Tra un mese, inoltre, abbiamo il Mondiale e sarà un test importante per misurare la crescita e finalizzare il lavoro svolto in allenamento”.
Vieni da una stagione complicata dopo un ottimo 2015, hai avuto problemi di salute…
“Sì, a inizio stagione ho subito un’operazione di rimozione della tiroide. Mi hanno trovato un nodulo che andava tolto e il 18 febbraio sono andato sotto i ferri. Avevo fatto parecchio l’anno prima per la qualificazione a Rio, ma bisognava dimostrare di poter tornare a un buon livello dopo questo problema. È stata una corsa contro il tempo, anche perché dopo un’operazione non è facile riprendere subito. Non sono ancora al 100%, ma sono tornato a un livello accettabile”.
Immagino tu abbia pensato a quel punto che per Rio fosse difficile.
“Mi sono preoccupato. A febbraio era alle porte la nuova stagione: il tempo per tornare c’era, ma era un po’ stretto e non mi permetteva distrazioni. Ho dovuto mettermi sotto con una certa intensità. Però era importante tornare il più presto possibile. Non volevo perdermi l’Olimpiade per nulla al mondo”.
Dopo quanto tempo sei tornato alle gare?
“Un mese e dieci giorni dopo a Milano, per la seconda tappa degli Internazionali d’Italia”.
Al preolimpico a Rio sei arrivato terzo. Com’è il percorso? Ti piace?
“Il percorso non è male. Ovviamente la tipologia è artificiale, è stato creato dal nulla con materiale di riporto. Però devo ammettere che hanno fatto un bel lavoro: è divertente e all’altezza dal punto di vista tecnico. Poi è veloce, conta molto la potenza e si addice alla nostra squadra, visto che tutti noi prediligiamo questa tipologia piuttosto che tracciati da scalatori puri. Sì, direi che possiamo fare qualcosa di buono”.
Chi saranno gli uomini da battere?
“Ci sono tre grandi nomi: lo svizzero Nino Schurter, il francese Julien Absalon e il ceco Jaroslav Kulhavy. Però l’Olimpiade è l’Olimpiade, ci sono svariate cose che possono influire; si gioca tutto in un giorno e possono succedere tante cose. Questi tre nomi rispecchiano i valori della stagione, ma penso ci sia spazio per gli outsider”.
Qual è stato il punto più alto della tua carriera?
“L’anno scorso, quando ho vinto il campionato italiano, penso di aver raggiunto il mio livello più alto. Certo, avevo già ottenuto altri importanti piazzamenti in Coppa del Mondo, ma, per quanto raggiunta in ambito nazionale, quella è una vittoria…”.
E se vincessi una medaglia in Brasile sarebbe il giorno più bello della tua vita?
“Dal punto di sportivo sì. Nella vita in generale no, perché dopo quello che ho passato credo che la salute e la vita vera abbiano un’importanza maggiore. Esteban Chaves ha espresso questo concetto molto bene nell’intervista dopo aver perso il Giro d’Italia: si tratta pur sempre di corse di bicicletta, le cose che contano sul serio sono altre”.
Avrai certamente sentito parlare di alcuni atleti che rinunceranno a Rio per il virus Zika. Tu cosa ne pensi?
“Non ci sono giunte ancora molte notizie a dir la verità. Io un po’ mi sono informato e sì, c’è un minimo rischio. Però penso sia una cosa controllabile nel tempo; in particolare riguarda problemi per il concepimento dopo l’evento ed è da tenere in conto soprattutto per le donne. Ovviamente staremo attenti, ma credo sia controllabile”.
Quale aspetto ti affascina maggiormente in un Olimpiade?
“È la gara più importante che esista in assoluto in ambito sportivo ed è qualcosa che può cambiare le sorti di una carriera. Tutti gli atleti hanno questa ambizione, poi certo l’Olimpiade è più sentita in alcune discipline. Per il nostro sport è importantissima: oltre alla soddisfazione personale, è una vetrina enorme. L’anno olimpico è molto sentito. Inoltre, a parte la prestazione in sé, può essere un’esperienza incredibile da vivere a livello personale. Tutto il mondo sportivo si ritrova e vive per 20 giorni insieme. Sarà la mia prima volta e mi aspetto che sia emozionante”.
Quanto e come ti alleni? Raccontaci la tua settimana tipo.
“La mia settimana si divide tra sei giorni di lavoro e uno di riposo. Il 50% dell’allenamento lo faccio su strada, l’altra metà in mountain bike, dove ovviamente si fa un lavoro più specifico. Su strada si fa scarico, recupero, allenamenti di fondo. In aggiunta, 2-3 volte a settimana, svolgo allenamento funzionale o a secco per curare l’equilibrio e gli altri aspetti funzionali del corpo. Poi ovviamente varia in base al periodo, se è settimana di gara o di pura preparazione. In linea di massima un professionista della mountain bike si allena per 20-21 ore in media a settimana”.
A parte la mountain bike ti diletti in altri sport?
“Abito in montagna (a Oulx, in Alta Val di Susa, ndr) e gli sport invernali sono giocoforza la mia passione. Da giovane facevo gare di sci di fondo, una disciplina che continuo a praticare per tenermi in allenamento. Anche lo sci alpino è molto importante come allenamento di base per il ciclismo. E poi l’alpinismo in generale. Queste sono un po’ le mie passioni durante l’off-season”.
A che età hai iniziato a praticare mountain bike? Pensavi di raggiungere certi traguardi?
“Ho iniziato ad andare in bici a 11 anni, mentre a 15 ho preso parte alle prime gare. Sì, pensavo di poter fare carriera, sentivo che andavo bene in rapporto agli amici e ai ragazzi con cui mi confrontavo in quegli anni. Ho sempre avuto la vena agonistica e la voglia di primeggiare. Quando ho iniziato a correre, a parte l’inizio in cui faticavo perché altri erano più abituati di me a gareggiare, ho visto che facevo progressi e mi sono appassionato tantissimo. Alla fine è diventato il mio lavoro”.
Hai mai avuto durante la tua carriera o agli esordi la tentazione di provare con il ciclismo su strada? Alcuni campioni come Peter Sagan e Cadel Evans vengono dal cross…
“Io sono nato come corridore di mountain bike. Allora, purtroppo, non si parlava ancora di multidisciplinarità. Dico purtroppo perché avrebbe contribuito a completarmi. In seguito non sono mai riuscito a trovare il tempo per provarci; gareggiando ad alto livello in Mtb, mi sono concentrato sul calendario della mia disciplina. Mi sarebbe piaciuto, ma ora è probabilmente tardi. Non nego di aver un po’ di rammarico, però sono contento del mio percorso in Mtb, che è poi la cosa che mi piace di più”.
A proposito di Sagan: il campione del mondo di ciclismo su strada gareggerà in Brasile nella mountain bike. Pensi possa impensierire voi specialisti?
“Secondo me è difficile. Lui è un grande talento a livello fisico, ma, nonostante abbia due mesi di tempo per prepararsi, il cross-country negli ultimi anni si è specializzato molto. Non è facile trovare subito brillantezza per vincere. Il ciclismo su strada è molto più regolare rispetto alla mountain bike ed è complicato trovare il ritmo in breve tempo e competere con i migliori. Di sicuro può fare una bella gara, ma non lo vedo in corsa per le medaglie”.
E l’Italia?
“Sia in ambito femminile che maschile abbiamo la possibilità di lottare. Per quanto ci riguarda i tre nomi che ho detto prima sono certamente i più quotati, ma, come ha dimostrato Marco (Fontana, ndr) a Londra, se quel giorno arrivi in condizione e fai la gara della vita, le potenzialità per ritagliarsi uno spazio ci sono tutte”.