Cinquanta chilometri davanti al proprio pubblico, agli amici, alla famiglia. Cinquanta chilometri nelle strade della propria città, come sogna da quando è bambino. Il marciatore romano Marco De Luca è pronto per il Mondiale a squadre, la World Race Walking Team Competition in programma sabato 7 e domenica 8 maggio, il giorno della “sua” 50 km. Una manifestazione importante, ma anche un banco di prova in vista dell’evento del quadriennio, i Giochi Olimpici di Rio in programma ad agosto, come racconta nell’intervista concessa a Sportface.it nel giorno della presentazione del Mondiale.
Ci siamo, domenica c’è la World Race Walking Team Competition di Roma. Tu sei romano, immagino sia molto di più di una tappa di avvicinamento a Rio?
“Gareggiare a Roma è sempre stato il mio sogno. Proprio per questo motivo ho fortemente voluto schierarmi sulla 50 km, nonostante io abbia già il pass olimpico. Ho gareggiato in tutto il mondo e non farlo nella mia città sarebbe stato un rimpianto grandissimo. Chiaramente l’obiettivo dell’anno sono i Giochi Olimpici ma non nascondo la volontà di far molto bene anche a maggio sia a livello individuale che a squadre. Abbiamo una squadra fortissima e ce la metterò tutta per far sì che la Coppa Del Mondo resti a casa”.
Ci saranno tanti amici e conoscenti a vederti marciare a Roma, quando sei in gara percepisci il calore e l’entusiasmo del pubblico oppure sei talmente concentrato che non fai caso a chi ti sta attorno?
“Non nascondo che sto mobilitando più gente possibile per venire a darmi la carica. Sono sicuro che il calore di tutti e soprattutto quello delle mie due bambine, mi darà una grande forza. Di solito, soprattutto nei momenti di difficoltà, sento molto l’incitamento delle persone a me care e del mio allenatore, la sua voce è una spinta incredibile per me”.
Marco, raccontaci quando hai iniziato a praticare la disciplina della marcia. Cosa ti affascina di questo sport?
“Ho iniziato a fare atletica da giovanissimo, spinto dalla passione di mio padre verso questo sport. La mia prima ‘garetta’ l’ho fatta all’età di sei anni. Fino alla categoria junior ho fatto tutte le discipline, dalla corsa, ai salti e agli ostacoli, poi, intorno ai 18 anni, ho scelto di specializzarmi nella marcia perché mi affascinava particolarmente mettermi alla prova con una disciplina così ‘dura’. La marcia è diventata anche una sfida con me stesso”.
La marcia, soprattutto i 50 km, è una disciplina lunga, faticosa e massacrante. Quando sei in gara dove trovi le forze e le energie per non mollare?
“Credo che la 50 km richieda una grande forza mentale. Da due anni mi avvalgo dell’appoggio del mio psicologo Umberto Manili. Con lui, oltre a svolgere un percorso personale che comunque mi ha fatto crescere anche nel campo delle prestazione, svolgo un lavoro con un macchinario che si chiama Biofeedback con il quale vengo monitorato settimanalmente e riusciamo a valutare il mio stato di forma, e se sia il caso di ‘caricare’ di più o meglio recuperare qualche giorno. Devo dire che questo tipo di preparazione sta funzionando alla grande, infatti ho riscritto tutti i miei ‘personal best’ negli ultimi 2 anni. Durante la gara svolgo anche diversi esercizi mentali per rilassarmi il più possibile, una sorta di training autogeno e mi ripeto delle parole chiave per stimolarmi e raggiungere l’obiettivo prefissato”.
Recentemente hai ottenuto risultati brillanti anche nella 20 Km, ma la “tua” gara resta la 50 Km. Parlaci delle differenze tra le due distanze.
“Negli ultimi due anni ho migliorato i miei personali anche sulla distanza più corta, ma la 20 km non fa per me. Ho delle leve molto lunghe e un ‘motore’ non adatto a ritmi così veloci. Poi i tanti anni da marciatore nella distanza lunga condizionano molto. Mi spiego meglio: nella 20 km bisogna ‘buttarsi’, non ci si dovrebbe neanche rendere conto di quante persone hai davanti, invece io sono sempre lì a controllare tutto, a gestire l’istinto, la distanza, il rischio di ammonizioni, l’orologio, insomma tutto quello che di solito fa uno marciatore sulle lunghe distanze. Non ho ‘l’istinto killer’ che fa la differenza nelle distanze brevi, ma un gran senso dell’autocontrollo”.
Ora che sei diventato padre e hai costruito una famiglia è cambiato il tuo approccio verso lo sport? In futuro pensi che incoraggerai le tue figlie a fare la stessa tua disciplina?
“Ho due bimbe, Sofia 6 anni e Noemi 4 il prossimo luglio. Sicuramente ora che ho loro vivo tutto in modo diverso. Prima, se un allenamento andava male, tornavo a casa e stavo lì a rimuginare sul perché e a farmi mille domande, ora, invece, una volta finito, torno a casa e l’unica mia preoccupazione è stare con loro. Sofia ha iniziato a fare ginnastica ritmica ed è presa da morire, non fa altro che saltellare tra nastri e cerchi anche dentro casa, penso che si senta una piccola ‘farfalla’. Noemi invece la vedrei portata per la corsa ma è ancora troppo presto per dirlo, comunque sia, qualsiasi sport vogliano fare in futuro andrà bene, non sarò certo io a scegliere per loro”.
Hai già vissuto due volte l’Olimpiade, a Pechino 2008 e Londra 2012. Cosa ti ha più impressionato dell’atmosfera? Che emozioni hai vissuto?
“Quella di Rio sarà la mia terza e non ultima Olimpiade spero, mi sono messo in testa che voglio fare anche Tokyo 2020. A Pechino sono stato letteralmente travolto dall’emozione. Essere nel villaggio olimpico con tutti i campioni degli altri sport mi mandò fuori di testa. Non ho mai fatto la cerimonia di apertura purtroppo perché la mia gara è quasi sempre gli ultimi giorni del programma olimpico A Londra ho fatto la cerimonia di chiusura, uno spettacolo che difficilmente dimenticherò”.
Dal punto di vista tecnico invece sei arrivato 17° nel 2012 e 19° nel 2008. Ti è rimasto un po’ di rammarico e delusione oppure sei convinto di aver fatto il massimo?
“A Pechino, come detto, l’emozione mi ha travolto quindi in gara ero proprio in tilt. A Londra invece ho tagliato il traguardo in 17ª posizione ma poi con alcune squalifiche per doping mi sono trovato a essere 14°. Ho fatto un’ottima gara, a 30 secondi dal mio personale di allora, ma ricordo che quel piazzamento fu davvero una grande delusione, molti miei avversari fecero la gara della vita e andarono davvero forti”.
Conosci il campo di gara di Rio? Ti piace? Temi il caldo umido che probabilmente troverete?
“No, non sono mai stato a Rio, del percorso so solamente essere su Copacabana, spero solo che non ci sia troppo caldo e che non ci sia vento, sono due situazioni che proprio non tollero”.
Chi sono gli avversari che temi di più?
“Sicuramente lo slovacco Matej Toth e il francese Yohann Diniz sono i favoriti, ma anche l’australiano Jared Tallent e l’irlandese Robert Hefferman non sono da sottovalutare”.
Te la senti di fare un pronostico sulla tua gara olimpica? Saresti soddisfatto solo del podio oppure un piazzamento nei primi 10 potrebbe bastarti?
“Bisogna essere realisti, la medaglia non è così facile da poter vincere, è logico che io ce la metterò tutta, ma un piazzamento tra i 12 con un ottimo crono mi soddisferebbe comunque”.