Dovevano essere le Olimpiadi di Roma. Il barone Pierre de Coubertin, presidente del Comitato Olimpico Internazionale, lo voleva fermamente. Voleva portare la classicità greca dentro alla storia millenaria di Roma. Per l’Italia non era un gran periodo e Londra, Stoccolma e Berlino erano pronte per ospitare i Giochi, ma de Coubertin fece pressioni a tutti i livelli possibili, a casa Savoia, in Vaticano, presso il sindaco di Roma, per portare a compimento la sua idea, così, nel gennaio 1904, la riunione del CIO, svoltasi a Londra sancì ufficialmente la scelta di Roma come sede dei Giochi Olimpici del 1908.
In Italia l’accoglienza fu piuttosto fredda e la grave crisi economica che stata attanagliando il nostro paese portava le istituzioni ad occuparsi di problemi ben più rilevanti come scioperi generali, la rivolta del mezzogiorno e una situazione politica piuttosto instabile. Nel 1905 la situazione peggiorò ulteriormente con le dimissioni di Giolitti, la fatica a formare un nuovo governo e due gravissimi terremoti in Sicilia e Calabria che prosciugarono quelle poche risorse che pareva dovessero essere destinate all’organizzazione dei Giochi Olimpici. De Coubertin non voleva abbandonare la sua idea anche di fronte all’evidenza della totale mancanza di fondi, ma nel 1906 il colpo di grazia alla possibilità di organizzare comunque i Giochi venne dalla tragica eruzione del Vesuvio. Nella riunione del CIO di Atene del luglio 1906, Roma rinunciò formalmente alla candidatura. Berlino ritirò la proprio candidatura e, nel novembre 1906, venne assegnata formalmente l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 1908 a Londra.
Presidente del Comitato Olimpico fu nominato Lord Desborough, uomo d’affari, ma anche valido sportivo (nuotatore, canottiere e schermidore) già impegnato nell’organizzazione dell’EXPO franco – brittannico, previsto per il 1908, che si attivò per unire i due eventi e combinarne parzialmente gli impianti.
Alcuni sport avevano già il loro collocamento naturale (il tennis a Wimbledon, il canottaggio a Henley, il tiro a Bisley), ma mancava il grande stadio olimpico. Lord Desborough riuscì a convincere gli organizzatori dell’EXPO a costruire uno stadio con pista di atletica e ciclismo e piscina proprio nella zona degli edifici bianchi già costruiti per l’EXPO. Il colore di questi palazzi diede il nome al nuovo stadio che così divenne il “White City Stadium”.
La posa della prima pietra avvenne il 2 agosto 1907 e, a tempo di record e con una spesa di sole 44000 sterline, venne costruito uno degli stadi più belli che la storia ricordi, l’unico fra l’altro in grado di permettere agli spettatori di assistere a gare di atletica, nuoto, pallanuoto, tuffi, ciclismo, ginnastica e lotta contemporaneamente e senza muoversi dal proprio posto a sedere. Nel White City Stadium si disputarono anche le gare di calcio, tiro con l’arco, hockey su prato, lacrosse, rugby e tiro alla fune. Anche la capienza era da record. 66288 spettatori seduti e 30000 in piedi. Il 14 maggio 1908, lo stadio venne inaugurato dai Principi di Galles.
I Giochi Olimpici iniziarono il 27 aprile 1908 con le gare di rackets, ma la sontuosa cerimonia di apertura venne fatta il 13 luglio alla presenza della famiglia reale inglese al gran completo. Le gare si protrassero, come era solito, per molti mesi, fino al 31 ottobre, ben oltre la cerimonia di chiusura del 25 luglio. Vi parteciparono 2023 atleti, fra cui 44 donne, provenienti da 22 diversi comitati olimpici.
L’Italia inviò una rappresentanza di 68 atleti e, alla fine, si piazzò undicesima nel medagliere grazie alle due medaglie d’oro conquistate da Alberto Braglia nella ginnastica e da Enrico Porro nella lotta greco romana, oltre alle due medaglie d’argento conquistate da Emilio Lunghi negli 800 metri piani e dalla squadra di sciabola.
Il vero protagonista di tutta l’Olimpiade è stato però un non vincitore, Dorando Pietri: primo sul traguardo della maratona, barcollante e sorretto dai giudici di gara, alla fine venne squalificato per l’aiuto ricevuto, ma la sua impresa fece il giro del mondo, entrò nella storia e divenne tema per libri, film e narrazioni in ogni parte del mondo.
Dorando Pietri ebbe anche il merito, involontario, di trasformare la maratona nel simbolo dei Giochi Olimpici, proprio come aveva sognato de Coubertin, che puntò sulla corsa alla lunghissima distanza per celebrare la sua idea di Giochi Olimpici. A Londra, ancora prima di svolgere la gara, si cercò di creare una grande attesa sulla maratona. Intanto si decise definitivamente la lunghezza della gara, 26 miglia su strada più 385 yards nello stadio, pari a 42.195 Km, che appunto, da qual momento in poi, divenne la lunghezza ufficiale di tutte le maratone del mondo.
La prova era inizialmente prevista sulle 25 miglia più il tratto in pista, quindi 40.195 Km, più o meno la distanza tra Atene e Maratona, ma la famiglia reale inglese chiese che i bambini della principessa di Galles potessero assistere alla partenza della gara affacciati dalla nursery del castello di Winsor. Per accordare questo privilegio si decise di allungare di un miglio la gara, in modo che dalla terrazza a est del castello fosse possibile vedere la partenza dei corridori.
Il 24 luglio 1908 in una giornata insolitamente calda per il clima inglese, partirono 55 atleti di 16 nazioni diverse, al traguardo arrivarono solo in 27. Partirono forti i britannici Fred Lord e Jack Price che condussero fino alle 10 miglia, poi avanzò il sudafricano Charles Hefferon che condusse assieme a Price fino alle 17 miglia, quando si fece avanti il grande favorito, l’indiano Tom Longboat, che poco dopo però svenne per il caldo e fu costretto a ritirarsi. Hefferon sembrò potersi involare verso la vittoria, quando dalle retrovie arrivarono velocissimi lo statunitense John Hayes e Dorando Pietri.
A quel punto Pietri si produsse nel massimo dello sforzo e raggiunse Hefferon a poco più di un miglio dalla fine. Entrò per primo nello stadio visibilmente sofferente e poco lucido, iniziò a correre nella pista in senso opposto, tornò indietro e quelle 385 yards di pista, che lo separavano dal trionfo, per Dorando furono un calvario senza fine. Cadde a terra quattro volte, fu aiutato a rialzarsi dai medici e dai giudici di gara, impiegò oltre nove minuti a percorre gli ultimi 300 metri e infine crollò ancora poco prima di tagliare il traguardo. In quel momento fu sorretto dal medico di gara e da un giudice e letteralmente accompagnato a braccia oltre l’arrivo.
I giudici di gara, nel loro rapporto scrissero che “andava assolutamente assistito, perché sembrava potesse morire proprio sotto gli occhi della regina”. Dorando fu portato in infermeria in barella e nel frattempo arrivò lo statunitense John Hayes che superò Hefferon poco prima del traguardo. Stati Uniti e Sud Africa presentarono subito ricorso per gli aiuti ricevuti da Pietri. Il ricorso venne accolto in tempi brevissimi e Pietri fu squalificato e la vittoria venne assegnata a John Hayes.
Il dramma di Dorando Pietri commosse il numeroso pubblico presente e, in pochissimi giorni, divenne noto a tutti gli inglesi, grazie a sir Arthur Conan Doyle, il futuro creatore di Sherlock Holmes, che allora scriveva per il Daily Mail, che raccontò in diversi articoli quanto successe alla maratona olimpica, scrivendo tra l’altro “la grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici”. Alcune leggende, per anni, hanno raccontato che fu lo stesso Conan Doyle a sorreggere Pietri quando cadde allo stadio, ma invece gli uomini che lo aiutarono a terminare la maratona furono il giudice Michael J.Bulger e il medico di gara Jack Andrew.
Sembra invece certo che fu Arthur Conan Doyle a suggerire alla regina di donare a Pietri una coppa, simile a quella consegnata al vincitore, con la scritta “A Pietri Dorando, in ricordo della maratona da Windsor allo stadio, 24 luglio 1908, dalla regina Alexandra”
Lo stesso Dorando Pietri, il 30 luglio 1908 dichiarò al Corriere della Sera: “Io non sono il vincitore della maratona. Invece, come dicono gli inglesi, io sono colui che ha vinto ed ha perso la vittoria“.
Da quel momento in poi iniziò il mito attorno alla figura di Dorando Pietri che divenne il più grande idolo di tutti gli atleti del mondo. Harold Abrahams, campione olimpico dei 100 metri nel 1924, immortalato nel film “Momenti di gloria” dichiarò: “Tale è il potere di una buona ‘story’ che per ogni mille persone che conoscono il nome di Dorando, forse nemmeno una sarà in grado di dire chi fu il vincitore ufficiale della Maratona di Londra”
La maratona catalizzò l’interesse e l’attenzione di tutti, ma non fu il solo momento importante di Londra 1908. Anche nei 400 metri ci fu un clamoroso scontro tra USA e Gran Bretagna. I favoriti erano 3 statunitensi (Carpenter, Taylor e Robbins) e un britannico, lo scozzese Wyndham Halswelle. Carpenter entrò in testa nel rettilineo finale con lo scozzese alle spalle. L’americano, per non farsi superare spinse verso l’esterno lo scozzese. Arrivò primo Carpenter, ma, a seguito della protesta brittanica, dopo una lunghissima discussione, i giudici decisero di squalificare Carpenter e di far ripetere la gara il giorno seguente senza lo statunitense. Gli Usa per protesta ordinarono a Robbins e Taylor di non partecipare e così Halswelle disputò la finale olimpica da solo, unico caso della storia. Un anno dopo, nel 1909, la federazione di atletica revocò la squalifica di Carpenter e gli riassegnò l’oro olimpico.
I due ori dell’Italia in quella edizioni dei giochi portano la firma di Alberto Braglia, probabilmente il miglior ginnasta al mondo per almeno un decennio, e di Enrico Porro, che invece vinse a sorpresa la gara nella lotta greco romana, nella categoria dei pesi leggeri.
Il medagliere finale vide la Gran Bretagna al primo posto con 56 ori, 51 argenti e 39 bronzi, davanti agli USA con 23 successi. A livello individuale i plurimedagliati con tre ori a testa furono l’atleta statunitense Melvin Sheppard (800 m., 1500 m. e staffetta) e il nuotatore inglese Henry Taylor (400 m., 1500 m. e staffetta mista).
La quarta olimpiade si concluse con un grande successo tecnico e organizzativo, per la gioia del barone de Coubertin.
Video con Dorando Pietri