“Stare a casa e guardare le altre saltare in televisione è difficile, come è difficile guardare una con cui ti batti sempre che vince mentre tu sei ferma”. Così è stata l’estate di Alessia Trost, talento cristallino dell’atletica italiana che però, così come tanti altri casi nel nostro paese, sembra non poter trovare pace dagli infortuni. Sabato a Gent, in Belgio, la stella azzurra del salto in alto tornerà finalmente in gara dopo un lungo calvario, quasi sette mesi di stop dalla gara dello scorso 17 luglio a Montecarlo. Ma nella sua voce non c’è invidia, chi conosce Alessia sa che è una ragazza combattiva, ma sportiva e leale nella sua rivalità, anche con la russa Maria Kuchina, sua avversaria di sempre. Dopotutto, il mondo del salto in alto è una lotta tra sé e l’asticella, una bellissima metafora della lotta tra l’uomo e le sue paure: non a caso si parla di ‘alzare l’asticella’ quando la posta in gioco sale. Lo dicono spesso i saltatori, quella barra colorata è prima di tutto un ostacolo mentale e solamente poi fisico.
Così è anche per la pordenonese, cresciuta a pane e atletica e che ha trovato nel salto in alto la sua disciplina preferita e adatta alla struttura fisica: alta, potente e veloce. Prima di approdarci, però, le ha provate tutte: “Ho iniziato facendo distanze lunghe, anzi lunghissime! Oggi non potrei mai…”, racconta nell’intervista esclusiva a Sportface.it sorridendo. Poi ci sono stati gli ostacoli, il salto in lungo e nel mentre crescevano le performance nell’alto. Due anni fa ha fatto anche i campionati italiani indoor di prove multiple, proprio per non perdere il feeling con l’atletica a trecentosessanta gradi, ma con gli impegni internazionali alle porte è tornata alla sua disciplina favorita.
“Lo scorso anno è iniziato veramente bene, dopo i problemi fisici dell’estate precedente ero tornata a saltare bene e la medaglia al campionato europeo indoor di Praga ne è stata la conferma”, spiega con calma. Ma da lì le cose sono andate peggiorando. “Il problema è stato soprattutto mentale, perché da lì in avanti mi sono messa troppi paletti, troppe aspettative e d’improvviso l’ottima forma fisica è diventata quasi un fardello”. Sembra un’assurdità ma il messaggio diventa chiaro appena lo spiega nel dettaglio: “Mi sentivo bene fisicamente, ma proprio per quello con la testa non ho avuto la pazienza di aspettare che tutti i pezzi del rompicapo si mettessero assieme. Per cui continuavo a saltare senza mai raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata. E più saltavo, più aggravavo la frustrazione a livello mentale”.
E poi è arrivato l’infortunio. “Esatto, forse proprio perché stavo così bene fisicamente e continuavo cocciutamente a inseguire le mie misure non ho avvertito il problema e, continuando a saltarci sopra, ho peggiorato la cosa”. Una lesione profonda, quasi un centimetro al tendine d’Achille del piede destro (quello non di stacco), l’ha tenuta fuori per più di sei mesi, nei quali ha trovato l’equilibrio mentale che cercava anche grazie all’inserimento di un mind room nella routine degli allenamenti. Ma soprattutto è tornata la salute e il lungo break si è trasformato in un’occasione per fare tanto lavoro dal punto di vista fisico prima del ritorno in pedana avvenuto appena prima di Natale, un regalo a se stessa. “Ne sono rimasta veramente sorpresa in positivo”, ha ammesso con un sorriso caldo e colmo di speranza, quello di chi per lungo tempo non ha potuto fare la cosa che ama di più: “Spesso si ha paura di non ritrovare più le sensazioni dopo gli infortuni, invece ho già reintrodotto la rincorsa lunga e la sento bene, ovviamente c’è molto lavoro da fare, ma il punto di partenza è più che positivo”.
Anzi, le sensazioni sono così positive che l’atleta friulana delle Fiamme Oro ha deciso che prenderà parte al campionato del mondo indoor in programma a Portland nel mese di marzo, qualora le misure le consentiranno di essere competitiva, ma lei ci crede. Lei che indoor ha saputo spesso esaltarsi come mai, finora, all’aperto. Il suo record personale, quel bellissimo volo oltre i 2 metri, la barriera tra l’essere forte e l’essere fortissima nel salto in alto femminile, è arrivato in Repubblica Ceca al coperto; l’anno passato l’argento europeo è giunto sempre in terra boema, sempre con un tetto a chiudere lo stadio. Le chiediamo cosa rende l’indoor così speciale per lei e la risposta arriva puntuale e precisa: “Il salto in alto è spesso bistrattato, relegato a un angolo del campo dove solo gli appassionati si appostano a tifare. Lo spettatore occasionale, quello dei 100 metri, non ci nota nemmeno. Nelle gare indoor è diverso, d’improvviso siamo al centro dell’attenzione, possiamo sentire la gente, il brusio, il tifo… questo mi dà una marcia in più”. Non a caso a Trinec si saltava con la musica a tutto volume.
Alessia, in aggiunta, è una grande agonista e in passato tante volte è stata in grado di far girare stagioni difficili in occasione dei grandi eventi, quelli dove la maglia azzurra fa battere il cuore ancora più forte e quest’anno, quest’estate, c’è l’evento per antonomasia. “È incredibile, l’anno olimpico ti dà quell’energia che ti serve per dare il massimo sempre. Da quando mi sono dovuta fermare due mesi per curare il tendine d’Achille, Rio è diventata la meta di questo viaggio e la motivazione per sopportare anche quelle cose che solitamente si fanno con difficoltà perché non ci esaltano”. Ecco quindi che le lunghe ore in palestra, lontano dall’amata pista, sono diventate più accettabili, quasi piacevoli, perché in fondo al tunnel c’era una luce, anzi, cinque luci sferiche e unite tra loro. Per la pordenonese si tratterebbe dell’esordio ai Giochi Olimpici, poiché a Londra, quattro anni fa, non è stata mandata, nonostante avesse realizzato il minimo. Una scelta da molti considerata sbagliata all’epoca come oggi poiché l’evento facilmente si presenta come totalizzante, se non addirittura soverchiante.
“Per quanto io ami l’atmosfera di festa, la presenza di pubblico e il calore che ti trasmette, sto già lavorando a livello mentale per riuscire ad entrare in una bolla ed escludere tutto il resto per poter solo saltare al meglio delle mie capacità”. Un bolla solo per sé e per Gianfranco Chessa, allenatore praticamente da sempre, tecnico storico dei salti e di cui Alessia si fida ciecamente. “Ho imparato dai miei errori in passato e ora anche nella quotidianità sono più recettiva nei suoi confronti. Io ho sempre dato tantissimo peso alla mia ‘introspezione’, alla mia autocritica e autoanalisi, ma ora più che mai ho capito che questo passaggio deve arrivare dopo aver ricevuto il suo feedback esterno, perché la sua visione non è distorta dalle emozioni ed è filtrata da una grande esperienza”. Ci piace credere che tutto accada per una ragione, che anche le avversità che hanno segnato le ultime stagioni di questo talento dell’atletica azzurra non siano altro che delle tappe necessarie per la maturazione personale e professionale della ragazza friulana. Quel che è certo è che lei è intelligente, così come chi le è vicino, per cui la lezione, anzi, le lezioni sono state imparate: ora è tempo di farne tesoro e spiccare il volo.