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Leggera ma seria, veloce ma cauta, serena ma ansiosa. Questo e tanto altro è Federica Pellegrini: contraddizioni che si rincorrono alla vigilia della gara più importante. A ben vedere, però, solo la facciata di questi 200 stile. Perché sollevando il velo delle strategie e della tattica più consumata, la Divina dimostra solo una cosa. Fede c’è. Questo conta, al di là dei tempi e delle posizioni che forse mai come questa volta raccontano una storia a metà.
La semifinale ha messo la nostra portabandiera di fronte, anzi di fianco, alle due avversarie con le quali domani, a meno di ribaltoni fuori quota, si giocherà il podio. Sjostrom, Ledecky, Pellegrini. Chi vale cosa. Non inganni l’ordine di arrivo di una semifinale stranissima, tutta da decifrare tra le bracciate e un elastico che ha visto schizzare l’azzurra in testa nella prima vasca, per poi rallentare nell’ultima. In sostanza, il contrario di quella che da anni è la sua condotta di gara. Federica ha studiato tutto. Ha lanciato un piccolo amo e le altre due hanno abboccato. Anzi, ha dato quasi l’impressione di aver giocato come il gatto con il topo.
La conferma? Quel sorrisetto un secondo dopo il tocco a 1’55″42. Un misto tra malizia e consapevolezza, l’assoluto controllo della situazione che certifica: gli ingredienti giusti al posto giusto. In questo mucchio di segnali da decifrare, solo una cosa è chiara: nella finale di domani non sappiamo quanto margine avrà Pellegrini. Perché che oggi si sia risparmiata è evidente. E non per il secondo posto, ovviamente. Lo ha detto lei stessa, spiegando la scelta di toccare come terza per averle di nuovo lì, alla sua destra, e controllarle nell’ultima decisiva vasca. Certo, la tattica potrebbe non bastare con due squali come la svedese e la statunitense, e nessuno ci può dire se e quanta benzina abbiano ancora nel serbatoio. Ma la lucidità e la serena pacatezza ostentate dimostrano che non è solo una questione di tempi. La sostenibile leggerezza olimpica di Federica fa sognare.