Testa alta, viso rilassato, il sorriso che solo il tuo paese di nascita può regalare. Niccolò Mornati ha raccontato la sua versione sul caso anastrozolo per la prima volta in un’occasione pubblica, e ha scelto Mandello del Lario, comune sul lago di Como in cui è cresciuto e dove ha dato le prime vogate con la pettorina rossa della Canottieri Moto Guzzi.
Scortato dal sindaco Riccardo Fasoli, che un tempo fu suo compagno di squadra (nonché campione del mondo Junior nel 2003 ad Atene sul Quattro senza), Mornati ha confermato la sua tesi difensiva, già espressa dalle colonne di Sportface.it, che si basa su elementi scientifici: contaminazione da un integratore la cui molecola è simile al 75% a quella della sostanza proibita (con il rimanente 25% modificato spontaneamente dall’organismo).
La squalifica di quattro anni inflittagli dal Tribunale nazionale antidoping, che ha raddoppiato la richiesta della Procura, non è andata giù al canottiere dell’Aniene Roma, ferito dal ‘dogma della macchina’ che ha prevalso sulla razionalità e il buon senso umano. E ha fornito dettagli utili a farsi un’idea sulla vicenda.
“Non è tanto per la quantità di anastrozolo riscontrata nelle mie urine, 0,5 nanogrammi – ha dichiarato Mornati – A lasciare perplessi è il fatto che questa sostanza, assunta da sola, non solo non migliora le prestazioni ma le peggiora, procurando danni fisici all’organismo come deterioramento di tessuti ossei e muscolari. L’anastrozolo non è, come erroneamente riportato da molti siti, un farmaco ‘coprente’ del doping, perché di solito lo si combina insieme ad altre sostanze. Io mi sottopongo da mesi, nell’anno olimpico, a controlli approfonditi e spontanei, e non in una clinica privata, ma al laboratorio antidoping del Coni all’Acqua Acetosa. Non è stato mai riscontrato alcun valore alterato o presenza di doping, anche perché sarei stato un folle a farlo nella ‘tana del lupo’”.
Mornati attende le motivazioni della sentenza per presentare ricorso in appello, ma nel frattempo ha scelto di ‘ripulire’ la sua immagine dopo mesi di silenzio e illazioni, mettendoci la faccia e ricordando quanto questa è stata spesa negli anni, nelle battaglie per uno sport onesto.
“Ho sempre combattuto attivamente il doping, non solo a parole – ha ribadito – Ho sempre messo a disposizione il mio sangue e le urine in qualsiasi controllo per la scienza perché le studiassero, e anche quel fatidico 6 aprile avrei potuto saltare il controllo perché era fuori dal mio slot orario obbligatorio ed ero lontano dalla zona del prelevamento, ma sono andato spontaneamente, a cuor leggero, in buona fede. Quindi sono rimasto sorpreso dalla positività e dalla sentenza, che questa buona fede non l’ha proprio presa in considerazione”.