Quando si parla di boicottaggio ai Giochi Olimpici, la memoria va inevitabilmente alle edizioni del 1980 (Mosca), quando gli USA con Canada, Cina, Giappone, Germania Ovest e un’altra sessantina di paesi disertarono per protesta contro l’invasione russa in Afghanistan, e 1984 (Los Angeles) quando a boicottare fu l’URSS con tutto il blocco sovietico. Pochi sanno, però, che si andò vicinissimi al boicottaggio anche molto prima, nel 1936, quando in pieno regime nazista Berlino ospitò l’edizione numero 11 dei Giochi Olimpici.
Gli USA minacciarono di non andare e la votazione finale diede l’OK alla spedizione americana solo in extremis e per soli due voti, come ben racconta il film di Stephen Hopkins “Race – il colore della vittoria”, che narra le epiche imprese del velocista nero americano Jesse Owens, in uscita nei cinema italiani dal 31 marzo. Owens (interpretato da Stephan James) fu la stella di quei giochi, dove vinse ben 4 medaglie d’oro nei 100, 200, staffetta 4X100 e salto in lungo. Polverizzando il progetto di Hitler e del suo ministro della propaganda, Goebbels, di trasformare i Giochi Olimpici in una celebrazione della supremazia della razza ariana e della superpotenza nazista (con tanto di film dei giochi affidati ad una regista tedesca).
Il film si concentra sugli anni più intensi della storia di Owens: dall’arrivo all’Ohio State University – dove incontra, appena diciannovenne, il coach Larry Snyder che tanta importanza avrebbe avuto nella sua vita – ai successi di appena due anni dopo, all’Olimpiade di Berlino.
Owens fece parlare di sé per la prima volta nel 1935, quando esordì nel mondo dello sport agonistico stabilendo 4 primati del mondo in quattro specialità differenti, e divenne poi il primo atleta americano a vincere 4 medaglie d’oro in una sola Olimpiade. Il film racconta una straordinaria storia sportiva, nel contesto di un’America intrisa di razzismo dove per le donne e gli uomini di colore i diritti erano quotidianamente calpestati.
Belli i ritratti della moglie (interpretata da Shanice Banton), donna di personalità e figura fondamentale per la sua crescita umana, dalla quale Owens avrà tre figli, e del coach Larry Snyder (Jason Sudeikis) in grado di governare gli spiriti ribelli del giovane Owens per indirizzarli verso l’appuntamento con la Storia.
Nel cast anche Jeremy Irons, nei panni di Avery Brundage, che fu incaricato di mediare con il regime nazista per scongiurare il boicottaggio USA e William Hurt, che interpreta il Presidente del Comitato Olimpico americano, Jeremiah Mahoney, che difese fino all’ultimo le ragioni del boicottaggio. La scena più bella del film è la corsa sulla pista d’atletica dello stadio di Berlino affratellato con l’atleta tedesco Carl Luz Long, che lo esalta di fronte ad un imbarazzato Fuhrer in tribuna dopo essere stato appena sconfitto da Owens nel salto in lungo, dopo una straordinaria gara a colpi di record.
Per il riconoscimento in patria dovette aspettare trent’anni: nel 1976 l’atleta nato povero in Alabama, che aveva sconfitto Hitler e trionfato a Berlino fu finalmente invitato alla Casa Bianca dal Presidente Ford per ricevere il primo vero riconoscimento per i suoi meriti sportivi, la Medaglia d’Oro Presidenziale della Libertà.