da Parigi, Alessandro Nizegorodcew
Il villaggio olimpico è il sogno di ogni atleta, da sempre e per sempre. Mettere piede, per poche ore, dove il mondo dello sport si unisce e convive per tre settimane è emozione pura. Gli occhi, ancor prima di passare i controlli, sono rapiti dalle bandiere di Uruguay, Cambogia e Isole Comore, appese sulla palazzina che sovrasta l’ingresso. Kei Nishikori, racchette in spalla, insieme ad alcuni rappresentanti del Team Japan, entra e, come chiunque altro (che sia atleta, allenatore o giornalista), spalanca gli occhi per osservare la magia del villaggio. In lontananza, raggiungibile dal ponte che attraversa la Senna, si intravede la palazzina cinese e, accanto, vi sono gli atleti russi (rigorosamente, e ovviamente, senza bandiera). Carlos Alcaraz sfreccia in biciletta, mentre Jessica Pegula con la sua handycam gira il proprio documentario personale del villaggio olimpico. I suoi connazionali, confermando il più classico dei luoghi comune, si allenano in palestra con la musica a palla. A proposito di suoni: dall’altro lato della strada un nutrito gruppo di atleti del Kenya, cassa in spalla, cammina ballando e dando spettacolo, mentre i samoani (presumibilmente del Rugby a 7), in tre, occupano l’intero marciapiede.
Le palazzine di Olanda e Polonia sono tra le più belle, tra spazi esterni, sdraio e una sensazione generale di potenziale relax. Gli ‘orange’, in più, osano non poco fregandosene della scaramanzia e mettendo all’ingresso il medagliere. Oggi recita ancora, per forza di cose, 0 ori 0 argenti e 0 bronzi. Se l’Olimpiade dovesse andare male…
Uno sguardo alla gigantesca mensa e ai cinque cerchi, su cui gli atleti salgono per uno ‘shooting’ fotografico senza sosta, per poi arrivare alla palazzina serba, che fa angolo con la dimora degli azzurri. Il palazzo è leggermente angusto oltre che privo di spazi esterni (se non qualche terrazzino), ma all’interno è bellissimo e funzionale. Gli atleti italiani sono 403 ma, considerando tutti quelli che dormono altrove (tennis, canottaggio, canoa, tiro a segno, tiro a volo, vela), a riempire la palazzina sono all’incirca 300 persone. Al piano terra vi è lo spazio (fondamentale) per medici e fisioterapisti, che si trova vicino agli uffici. Salendo si incontrano tutte le stanze con i famosi letti di cartone, che tanto successo avevano avuto all’Olimpiade di Tokyo 2020 e sono stati riproposti dai francesi. L’ascensore porta ai piani superiori e alle zone comuni, dove gli azzurri potranno seguire le gare dei colleghi, giocare alla playstation e iscriversi a un torneo di biliardino o di tennis tavolo (evitando se possibile le favorite Piccolin e Vivarelli) con tanto di tabellone a disposizione; perché, si sa, gli atleti sono leggermente (eufemismo!) competitivi. Sui muri campeggiano i nomi e i cognomi di tutti gli italiani qualificati.
A proposito di letti di cartone. Uscendo dalla palazzina italiana si incrocia lo sguardo di una volontaria del villaggio olimpico con in mano un cartellone: da lei si può scegliere il materasso più adatto alle proprie esigenze. Il Team canadese, intanto, per non saper né leggere né scrivere, appone un bel biglietto accanto all’alce: “si prega di non cavalcarlo”. A prova di scemo.
Per gli appassionati di bandiere è il paradiso. C’è che chi scommette che quella lì in fondo sia dell’Armenia e chi invece si concentra su Kiribati e Vanuatu. Alla Polonia la bandiera evidentemente non piaceva molto e, caso più unico che raro, utilizza un logo con scritto ‘PL’. In giro si trova qualche maxischermo, con annesse sdraio pronte ad accogliere gli atleti più curiosi, qualche palestra e il negozio ufficiale di Parigi 2024.
Lo spirito olimpico è ovunque, si respira nell’aria. Gli atleti passeggiano con occhi sognanti per il villaggio, come bambini che hanno realizzato il proprio sogno. Essere lì è tanto, per molti tutto.