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Sofia Goggia ha rilasciato una emozionante e sincera intervista a ‘La Gazzetta dello Sport’ dopo l‘oro conquistato nella discesa libera alle Olimpiadi di PyeongChang 2018. L’azzurra sul podio continuava a coccolare e guardare la medaglia appena conquistata e consegnatale dal presidente del Cio in persona: “Ho visto Bach che me la portava: è davvero mia, sta arrivando per me – ha pensato la Goggia in quel momento. – E poi continuavo a pensare: il sogno della mia vita è tra le mie mani, l’ho raggiunto, è vero“.
La campionessa olimpica ha inoltre parlato delle sue emozioni prima della gara che attendeva da molto tempo: “Sembra una sbruffonata, ma io non avevo pressione: doppio zero, come la farina. Sapevo che indipendentemente da come sarebbe andata, io sarei rimasta la stessa. Per tanti atleti i Giochi sono il D-day, il giorno del giudizio, per me era solo parte di un percorso e ho capito che le mie aspettative non si sarebbero fermate lì, avevo già guardato oltre. Era solo una tappa del processo, non il traguardo. E poi ero lì a fare la cosa che mi piace di più, a realizzare i miei sogni“.
Grande convinzione e sicurezza per lei che ha lavorato tanto per questo obiettivo e che dopo le sensazioni del superG ha capito fin dove spingere e dove, invece, non rischiare sulle nevi coreane: “Sono partita nel superG olimpico con una serenità, con una autenticità nella sciata, ho provato sensazioni così forti che mi sono abbandonata al piacere di sciare e mi sono deconcentrata. Prima di quell’errore avevo 58 centesimi di vantaggio, ma quella gara mi ha fatto tornare la Sofia che a 7 anni voleva essere la prima anche nella pista di collegamento a Foppolo. Avevo già vinto prima di vincere, per il significato che c’era. Lì ho ritrovato Sofia. E ho accettato il fatto che anche se non avessi vinto, sarei stata sempre io”.
Ultimo commento sulla sua famiglia che non l’ha accompagnata nell’avventura olimpica ma con la quale il rapporto è forte e solido: “Con la mia famiglia c’è un legame forte, ma come potevo farli venire in un posto così, in Corea, dove non c’è niente: avrei avuto il pensiero che sbagliassero a prendere la navetta. Mi avrebbero messo più agitazione che altro”.