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Tre giorni intensi con emozioni a non finire. “Questo era l’ultimo appuntamento prima delle selezioni per i Mondiali di Londra: e lo si è visto, lo si è capito – sono le prime parole del presidente della Finp, Roberto Valori, al termine dei Campionati Assoluti estivi di nuoto paralimpico che si sono svolti a Busto Arsizio – Per tutti i giorni di gare si è respirata una magnifica tensione, si sono sentiti i cuori pulsanti degli atleti che lottavano per un risultato e di tutti quelli che stavano attorno, allenatori, famiglie, amici, che soffrivano insieme a loro. Bello, bellissimo”.
Iniziamo guardandoci attorno, in una cornice perfetta per un evento del genere.
“Questa struttura è bellissima ed è un piacere per noi valorizzarla organizzando gare di questa caratura. E’ troppo importante avere delle piscine come questa di Busto Arsizio, strutture del genere sono fondamentali per sviluppare la nostra attività e crescere sempre di più: no, non è facile. Costruire un impianto come questo costa parecchi soldi ed è sempre più complicato, specie nelle grandi città, fare opere del genere. Su questo aspetto, i paesi civilizzati del resto del mondo sono più avanti rispetto a noi”.
Come sta la Nazionale, in vista di Londra?
“Non chiedetemi nulla di tecnico, per queste cose parlate con il CT. A me questi Assoluti sono serviti per guardare, ascoltare e affidarmi alle mie sensazioni”.
E cosa le dicono, le sue sensazioni?
“Che stiamo bene, benissimo. Perché ho toccato con mano la voglia, da parte di tutti, di esserci. Di ritrovarsi, di rivedersi, di tornare a vivere momenti con quella che non ho problemi a definire una grande famiglia. Questa è la nostra forza, per quanto mi riguarda: finché troverò queste sensazioni, io resterò ottimista”.
E lei, da presidente, come ha vissuto questi giorni?
“Questa mattina mi ha telefonato mia mamma e mi ha chiesto: “Allora, come stanno andando le vacanze?”. Io le ho risposto che non ero in vacanza, ma stavo vivendo qualcosa di ancora più bello. Essere qui per me significa vivere e dare senso a quello che sognavo, quando mi è stato dato questo ruolo. Non è una vacanza, perché ovviamente ci sono anche problemi da gestire e criticità: ma i sorrisi superano e cancellano ogni cosa”.
Cosa si porta via da Busto Arsizio?
“Le lacrime di una ragazza. Che sperava in un posto a Londra ed è stata squalificata per falsa partenza: piangeva, pensava di aver sprecato la sua occasione. Io le ho detto che invece aveva appena centrato la sua vittoria più grande”.
Perché?
“Perché si cresce davvero solo quando si cade a terra. Questa è una frase che vale per tutti, ma che per noi disabili vale di più. La prima grande vittoria di un disabile arriva nel momento in cui si trova, per un incidente o perché si accorge di avere qualcosa di diverso, ad avere a che fare con la sua disabilità. E’ in quel momento, in quel preciso istante. E’ in quell’attimo in cui si trova da solo per terra, che inizia a vincere per davvero”.
Parliamo di persone.
“Mia madre Luciana: è stata ed è una persona importantissima, nella mia vita. Lei che mi ha cambiato la vita, lei che quando si è trovata ad avere un bambino disabile non si è spaventata ma gli ha voluto bene ancora di più. Lei che, di quel bambino diverso, non si è mai vergognata. Lei che di quel bambino è sempre stata orgogliosa e che a quel bambino ha sempre insegnato che nella vita avrebbe potuto fare tutto. Sono quello che sono, anche nel rapporto con la mia disabilità, soprattutto grazie a lei: da bambino al mare non mi vergognavo del mio corpo, anzi. Esibivo la mia diversità con orgoglio, come un tatuaggio: ero io”.
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Ed è stata lei a trasmetterle la passione per il nuoto?
“Dovevo fare uno sport, mia madre venne a sapere che al Santa Lucia di Roma si stava iniziando a fare sport con i disabili, che allora venivano chiamati handicappati: lì c’era Giovanni Pische, reduce di guerra che nella battaglia di Pantelleria era stato abbattuto da due caccia inglesi ed era rimasto paraplegico per poi diventare un pioniere del nuoto per disabili. Eravamo agli inizi, eravamo lontani anni luce dallo sport paralimpico per come lo intendiamo ora, ma già iniziavano a formarsi i primi enti di organizzazione sportiva e io ebbi l’occasione di partecipare alle gare. Ho un ricordo, agli Internazionali di Roma del 1974, in cui venni premiato da Aldo Moro: purtroppo non ho una fotografia del momento della premiazione, ma solo un’immagine in cui c’è Moro e insieme a un gruppo di persone ci sono anch’io. Mi piacerebbe avere una fotografia di quell’attimo, di me con Moro. E mi sarebbe piaciuto che Moro, uno che era capace di vedere tutto vent’anni prima degli altri, fosse vissuto per vedere quello che negli anni è diventato lo sport per disabili. Gli sarebbe piaciuto”.
Un’altra persona?
“La mia famiglia. Le mie figlie, una si sta per laureare un’altra si è appena diplomata. Mia moglie, che un giorno del 1993 venne a trovarmi a casa mia per non andarsene mai più”.
Continui.
“Franco Riccobello, il segretario della FINP. Quando per la prima volta feci ingresso al Villa Fulvia, lui c’era. E c’è stato in ogni mio momento, in ogni mio traguardo, in ogni mia difficoltà. E’ stato di fianco a me quando insieme sognavamo un movimento diverso, per il nuoto paralimpico. Ed è di fianco a me ogni giorno con la forza della sua umiltà, con la sua capacità di essere generoso, con la sua enorme onestà. E con la sua attitudine innata nel risolvere i problemi”.
Ora un nome lo facciamo noi: Luca Pancalli.
“Prima, parlavo di sogni. Ecco, se io sognavo un mondo paralimpico come quello di oggi, Luca Pancalli lo sognava di più: lo sognava meglio, lo sognava più forte, lo sognava prima. Un capitano che era capace di incantare e motivare la squadra con le sue parole e i suoi discorsi. Un uomo che si vedeva sarebbe arrivato lontano tanto che per me è stato naturale seguirlo fino a quando ha deciso di lasciarmi camminare da solo e di farmi commettere i miei errori”.
Il ct Riccardo Vernole.
“Uno che è cresciuto mangiando pane e paralimpismo e che ha una storia, un vissuto, un passato e la competenza. E’ forte di queste cose, ed è forte della sua capacità di gestire in completa autonomia le sue scelte, le sue decisioni e il suo gruppo di lavoro. I suoi risultati, parlano per lui. E poi, vorrei fare un ultimo ringraziamento”.
A chi?
“Alle società, che vivono la quotidianità e i problemi sul campo: mettendoci tempo, faccia, generosità. Parlando con le persone. La Federazione c’è ed è al loro fianco, ma non abbiamo la forza economica per aiutarle come vorremmo: ecco perché chi lavora in queste società è a suo modo un eroe. Come un piccolo sindaco di paese, che affronta ogni giorno la vita dei suoi cittadini e che rappresenta l’ultimo avamposto della politica e della vita civile. Sono loro, sono le nostre società: sono l’aria che ci fa vivere”.
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