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“Accetto tutte le critiche, purchè siano fondate e costruttive. Possono dirmi che ho sbagliato gara, ma non è vero che non ho onorato la maglia azzurra. Questo non lo accetto. Non voglio far polemiche, però ci tengo a sottolineare che ho fatto tutto il possibile e dato veramente il massimo che avevo in questo momento”. Il tono della voce di Andrea Zambelli, ultramaratoneta reggiano, è pacato ma risoluto: il risultato della 100km valevole per il campionato del mondo e svoltasi in Croazia sabato 8 settembre non è ancora stato del tutto metabolizzato. Zambelli ha terminato la prova iridata in 8h08’11’’, con la sessantasettesima posizione assoluta: una performance al di sotto delle aspettative per uno che a maggio ha vinto la 100km del Passatore, interrompendo il dominio di Giorgio Calcaterra che durava da oltre 10 anni. Una prestazione, tuttavia, fortemente condizionata da problemi fisici: ecco perché Andrea fatica a digerire alcune critiche.
Andrea come stai?
“Eh, potrebbe andare meglio. In questo momento sono fermo, non posso correre, devo riposare, curarmi e pensare a guarire bene”.
Sei dispiaciuto per come è andata in Croazia?
“Sì, non potrebbe essere altrimenti. La cosa però che mi dà più fastidio sono i discorsi che sono venuti fuori dopo, relativi al fatto che non tutti i componenti della squadra avrebbero onorato l’impegno e la maglia della nazionale. Questi appunti dal mio punto di vista sono inaccettabili. Evidentemente non si conosce la realtà dei fatti, almeno per ciò che mi riguarda”.
Raccontaci.
“Dopo la vittoria al Passatore avevo il morale alle stelle ed ottime sensazioni. L’idea era quella di andare al Mondiale impostando una gara ad un ritmo di 4’/km circa per puntare a finire in 6h45’ o giù di li. Purtroppo però a metà luglio mi sono infortunato al gluteo sinistro: si può dire che l’ultimo allenamento serio l’ho fatto il 15 luglio. Per recuperare le ho provate tutte: tecarterapia, laser, massaggi”.
Non ha funzionato nulla?
“No, purtroppo. Uscivo per correre con l’obiettivo di fare un lungo e dopo 10-12 km non riuscivo più ad alzare la gamba. Ero costretto a tornare a casa”.
Si è anche detto che gli infortunati avrebbero potuto rinunciare per lasciar posto a chi stava bene.
“Anche questo non corrisponde a verità, almeno per quanto mi riguarda”.
Che cosa significa?
“Significa che ad inizio agosto, costatando che non riuscivo a risolvere il problema, mi sono messo in contatto con chi di dovere, dichiarandomi disponibile a rinunciare e cedere il mio posto, ma purtroppo non esistevano più i tempi tecnici per cambiare i componenti della squadra”.
Così hai deciso di provarci comunque?
“Si, proprio perché la maglia azzurra va onorata fino in fondo. Ho stretto i denti ed ho provato ad allenarmi per come potevo, alternando corsa, terapie e sedute in palestra. Due settimane prima del gara, con il mio allenatore, Maurizio Riccitelli, abbiamo deciso di fare un test costituito da un allenamento di 45km la domenica ed uno di 30km il lunedì. Sono riuscito a portarlo a termine, non senza fatica, per cui ho sciolto le riserve e mi sono presentato alla partenza”.
La gara come è stata?
“E’ chiaro che non potevo pensare di correre a 4’/km come inizialmente previsto. Ho impostato un ritmo prudenziale sui 4.20/km e fino al 70°km circa sono anche andato abbastanza bene. Da quel momento in avanti però è stato un calvario, d’altronde una gara di 100km non si inventa. Non riuscivo più ad alzare la gamba, gli ultimi km li ho percorsi strisciandola sul suolo, tanto che la scarpa sinistra si è completamente rovinata”.
Comunque l’hai chiusa.
“Sì, e devo dire grazie a chi, come mia figlia, mi ha incoraggiato e dato la spinta decisiva per non mollare. Era la terza volta che indossavo la maglia dell’Italia in questa competizione. E’ un appuntamento troppo importante, non ho nulla da rimproverarmi”.
Qualcuno ha anche detto che la generazione degli ultramaratoneti italiani più forti sta invecchiando e che quindi bisognerebbe lasciare più spazio ai giovani.
“Giustissimo. Io quest’anno ho corso il Passatore in 6h54’34’’. Se mi portate un ragazzo di 30 anni capace di correre su quel tempo o anche meglio, sarò il primo a stringergli la mano per fargli i complimenti”.
Ora ti aspetta un periodo di riposo e ripresa. Nonostante la delusione del Mondiale, il 2018 sarà certamente un anno da ricordare per la vittoria al Passatore. Che cosa ha significato per te?
“Per capire che cosa abbia significato, basta vedere le foto della mia faccia all’arrivo. E’ stato il sogno di una vita che si è realizzato”.
In che momento della gara hai capito che potevi vincere?
“In realtà l’ho capito lo scorso anno, quando sono arrivato secondo. Ero felice, ma ho da subito avuto la sensazione che se avessi osato un po’ di più avrei potuto giocarmela. Quest’anno ero convinto di potercela fare, tanto che pochi giorni prima della gara, mentre mi allenavo a Scandiano, un mio conoscente mi ha fermato chiedendomi se avrei corso il Passatore. Ho risposto “Quest’anno non lo corro, lo vinco!”. Ero veramente determinato”.
Che cosa rispondi a quelli che pensano che le 100km siano distanze disumane e che gli ultramaratoneti siano più pazzi che atleti?
“Prima di tutto ci tengo a dire che io non sono un atleta professionista. Il mio lavoro è fare i turni in una fabbrica che produce ceramica, allenandomi tra un turno e l’altro. Quella per la corsa per me è passione e questo mi accomuna alle migliaia di amatori che fanno sacrifici per ottenere i loro risultati. Sul fatto che le 100km siano corse “da pazzi”, credo che la pazzia sia sempre una questione di punti di vista: per me ad esempio è disumano fare gare come il Tor de Geants, mentre per chi sta sul divano a guardare la televisione, può sembrare disumana anche una sgambata da 5-10km”.
Più faticosa una mezza maratona o una 100km?
“Per me è certamente più faticosa una mezza maratona. Sempre in apnea con gli occhi sul cronometro, faccio una fatica tremenda. Almeno una 100km ho più tempo per godermela (ride, ndr)”.