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Pluripremiato arciere italiano, esponente dell’Aeronautica Militare e detentore di due medaglie olimpiche conquistate nelle competizioni a squadre di Pechino 2008 e Londra 2012, quest’ultima caratterizzata da un indimenticabile oro, Mauro Nespoli non ha certo voglia di fermarsi. Il palmares parla da sé anche oltre l’ambito olimpico, considerando l’oro a squadre ai Mondiali di Città del Messico e l’oro nel Mix Team ai Giochi Europei del 2015, così come il titolo di Campione europeo rispettivamente nel 2012 e nel 2018.
Nell’intervista concessa a Sportface.it, l’azzurro delinea le fasi salienti della preparazione verso i Giochi Olimpici di Tokyo 2020, quarta Olimpiade per lui, racconta hobby e passioni, ma riflette anche a 360 gradi sullo sport italiano che sta faticosamente provando a lasciarsi alle spalle l’incubo pandemia. “Siamo pronti a ripartire per nuove trasferte, le ultime in vista dei Giochi. Si torna quasi alla normalità. La FITARCO ci ha dato la possibilità di vaccinarci tra Roma e Milano in diverse date; io lo farò il 24 maggio e sono assolutamente favorevole alla vaccinazione: non ho le competenze per dare giudizi di merito, ma credo nella scienza. Tutto ciò che può essere utile per farci tornare a vivere il prima possibile una nuova normalità”
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Pratichi il tiro con l’arco sin da ragazzino e hai definito la tua scelta come dettata parzialmente dal caso. Quanto conta l’antica storia di questo sport, per quanto riguarda l’appeal per i più giovani? Come è possibile attirare più ragazzi?
“Sicuramente la storia del tiro con l’arco può essere affascinante e per quanto mi riguarda certamente lo è stata; è un ritorno alle origini, un collegamento con il passato. Se studiato con una certa idea, naturalmente il tiro con l’arco può attrarre ancora oggi nuove generazioni. Allo stesso tempo bisogna intendere l’arco in maniera più giocosa, negli ultimi anni è stato proposto come uno strumento di gioco assolutamente a pericolo zero, così da avvicinare bambini e ragazzini a questa disciplina. Non dimentichiamo che l’arco può comunque essere pericoloso, senza i giusti accorgimenti. Bisogna dividere parte ludica e professionale”.
In Italia, il calcio è lo sport più seguito; altre discipline non hanno la considerazione che probabilmente meriterebbero. È una questione culturale? Pensi possa influire il timore per quella che può essere considerata un’arma?
“Questo è un problema che attanaglia discipline sportive che non hanno un’attinenza con la palla. Il calcio ha un grande appeal, ma di fatto è più semplice per un allenatore gestire un gruppo di ragazzi, così come per i professori; giocare con una palla non è uguale a farlo con una mazza da baseball o appunto con un arco. Questo è il primo vero ostacolo che dobbiamo superare in Italia, mettendo in condizione chi di competenza, come i professori, di rendere l’arco uno strumento più adatto alle circostanze, ad esempio introducendo le frecce con le ventose. Bisogna far sì che i ragazzi siano più liberi di utilizzare lo strumento, magari contro dei birilli o usando delle clavette. Allo stesso tempo, bisogna che non vi sia nessun tipo di pericolosità. Naturalmente penso sia meno preoccupante una pallonata che scaturisca sangue dal naso piuttosto che una freccia su una gamba, per i genitori, ma si può ottimizzare ogni rischio”.
La diffusione in pianta stabile dei licei sportivi può aiutare il tiro con l’arco a crescere in Italia?
“Vengo da un liceo scientifico, ho frequentato il Liceo Galileo Galilei di Voghera, che ora ha aperto anche la sezione sportiva. Sicuramente i licei sportivi aprono la mente ai ragazzi, formano nuove generazioni di docenti verso la multilateralità e la multidisciplinarità. Il tutto ovviamente senza alcuna polemica per chi viene formato dalla Federazione ovviamente. Credo che i bambini debbano avere la possibilità di provare ogni sport e prendere la propria strada. L’istituto scolastico è il primo posto all’interno del quale i bambini entrano in contatto con gli sport. Io ho conosciuto il tiro con l’arco per caso, in montagna durante una vacanza. Il caso mi ha portato ad avvicinarmi a questo sport e ho avuto la testa abbastanza dura per riuscire bene in questa attività”.
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Nel tuo sport, la concentrazione è un fattore importante: il pubblico è più un sostegno o un limite per te?
“Dipende molto dai punti di vista. Durante le prime due Olimpiadi (Pechino 2008 e Londra 2012, ndr) ho vissuto il pubblico come una distrazione e ho cercato di estraniarmi il più possibile dall’ambiente esterno; non ero abituato a gestire una mole di stimoli così importante. Nel tiro con l’arco, il pubblico non è così numeroso come durante le Olimpiadi, quindi inizialmente ero restio. A Rio 2016 invece ho cambiato visione, mi sono immerso nell’ambientazione olimpica, godendomi il pubblico. Ho scoperto come il pubblico possa essere un bacino extra di energie, che bisogna però essere in grado di gestire. Penso sia come avere una macchina con un alto numero di cavalli: bisogna saperla guidare, per non incappare in danni”.
Puoi raccontarci la tua preparazione alle Olimpiadi di Tokyo?
“Non è stata e non sarà una preparazione semplice. Le problematiche derivate dalla pandemia sono sotto gli occhi di tutti e hanno toccato anche il tiro con l’arco. Siamo rimasti lontani dalle competizioni per circa 8 mesi e ancora oggi non siamo tornati alla normalità. Per esempio, le competizioni a squadre e in Mix Team si stanno riproponendo in questo momento, ma gli eventi sono ancora privi di queste specialità. Non avere il bersaglio di fronte e il compagno di squadra al fianco non sono state situazioni semplici. Comunque, ho avuto un anno extra per potermi preparare e ho avuto l’opportunità di fare una sorta di preparazione pre-olimpica. Nel 2020 ho simulato l’Olimpiade sul campo e i riscontri sono stati utilissimi, molto importanti. Abbiamo corretto qualcosa e abbiamo alzato l’asticella, adesso sto iniziando a raccogliere i frutti del mio lavoro, proprio adesso che stiamo entrando nel periodo competitivo”.
Per ragioni anagrafiche, questa è l’Olimpiade durante la quale sarai più maturo. Pensi che l’esperienza possa essere in qualche modo un peso, una responsabilità ulteriore, o al contrario un vantaggio?
“L’esperienza è assolutamente un vantaggio, si impara anche a non vivere le situazioni come dei pesi ulteriori. Questa sarà la mia quarta Olimpiade, ho imparato a gestire sia momenti strepitosi che difficili. Ho un background importante alle spalle, questa sarà un’arma estremamente a mio favore. L’outsider c’è sempre e abbiamo tanti giovani che approcciano alla gara con la spavalderia della gioventù, affrontano gli avversari freccia dopo freccia come se nulla fosse. Ricordo chiaramente come mi sentissi a Pechino, a Londra e a Rio, di volta in volta ho imparato dagli errori. Mi alleno per gestire una varietà di stimoli superiore rispetto alle competizioni standard. Il tutto per mantenere la lucidità in ogni situazione, avendo anche gli strumenti per poterci mettere una pezza; imparo a gestire il vento rinforzato o dei momenti di grande tensione, come una freccia che può portare a medaglia. Mi alleno per affrontare queste tipologie di situazioni. L’Olimpiade è un’incognita per tutti, cercherò di arrivare un po’ più preparato degli altri, appunto usufruendo di questo tipo di preparazione”.
Parlando di sport generalmente inteso, segui costantemente altre discipline e hai o hai avuto degli idoli?
“Seguo la Formula 1 e il calcio, mi piacciono particolarmente entrambi, sono ferrarista e interista. Dopo anni di soddisfazioni con la Ferrari e di agonie e sofferenze da interista, quantomeno quest’anno si è invertita la tendenza: l’Inter ha vinto lo Scudetto e la Ferrari è partita sulla falsariga delle passate stagioni. La fede però non cambia, massimo sostegno sia per l’Inter che per la Ferrari. Mi capita di seguire altre discipline, con la curiosità dell’appassionato di sport in generale, ma senza attaccamento a questa o quella squadra. Talvolta tendiamo a dimenticare che chi sta in campo mette anima e corpo e tendiamo a essere ingenerosi con gli atleti. Una sana passione mi piace di più, senza attaccamento. Riprendendo le parole di Michele Frangilli: ‘Sono molte più le competizioni che perdi, rispetto a quelle che vinci’. Nessuno di noi si diverte a sbagliare di proposito. Non si trae piacere a sbagliare volutamente, ma per le discipline ad alto livello vengono rese decisamente semplici in tv delle azioni invece assolutamente complesse”.
Hai altre passioni extra-sport?
“Per anni ho passato le mie serate a leggere libri di avventura e fantasy. Ho letto opere di Clive Cussler o ancora George Martin, che mi sta facendo diventare matto aspettando il prossimo libro. Ultimamente sto appassionandomi molto alla cucina e a lavorare con la resina epossidica. Quest’ultima passione nasce naturalmente dal tiro con l’arco, questo è il passatempo che mi sto riservando in questo momento”.
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