Spesso i treni non passano due volte. Nella “belle époque della kickboxing”, come la definisce Mattia Faraoni, la seconda opportunità invece può essere anche dietro l’angolo. Lui se l’è costruita con i sacrifici, superando anche “quarantadue giorni di farmaci e di cure”. A giugno Faraoni doveva combattere per il titolo del mondo Iska di kickboxing contro l’australiano Charles Joyner. L’evento, previsto nella cornice del PalaPellicone di Ostia, era trasmesso su Dazn. Praticamente un sogno. Nella notte precedente all’incontro, però, il fighter romano viene ricoverato in pronto soccorso per un malore. Lui vuole combattere nonostante un dolore lancinante allo stomaco, ma il medico lo ferma. Alla fine sul ring ci sale, sì, ma con un referto in mano. “È stato chiaro che il reintegro del taglio del peso è stata la causa che mi ha quasi portato al collasso”, ha spiegato sui social nei giorni scorsi. Cinque mesi dopo, sabato 26 novembre, Mattia Faraoni tornerà sul ring per sfidare ancora Charles Joyner (ora nei 95kg), ancora per il titolo del mondo e nuovamente nella sua Roma (Atlantico Live), sempre con diretta su Dazn.
Se prima eri emozionato, adesso cosa sei?
Emozionato e felice. Ho una carica incredibile. Ci siamo allenati tanto. Lo avrei fatto a prescindere ovviamente, ma questo senso di riscatto ha acuito tutto ancora di più.
La preparazione come sta andando?
Va tutto bene. Sto curando l’alimentazione in modo maniacale. Abbiamo fatto venire uno sparring partner che ho conosciuto in Olanda, si chiama Francesco Xhaja e con lui ho vissuto una settimana di botte da orbi. Ora farò sparring con Alex Rossi, lo conosco bene perché siamo stati in nazionale insieme. Ai 95 kg sto arrivando di muscoli, con la dieta del mio nutrizionista Lampredi. È tutto pesato, ho uno ‘sgarro’ solo a settimana. Paradossalmente sto mangiando meglio adesso che prima. Forse è la mia migliore forma a livello fisico e prestativo.
Per il match di giugno eri partito per l’Olanda. Ora sei rimasto in Italia.
Non sono partito perché volevo azzerare tutti i fattori di rischio. Lì non usano il caschetto, ci sono botte con meno ‘cognizione’. Qui seguo il mio programma per tutelarmi, non posso permettermi nessun problema stavolta.
Quell’esperienza cosa ti ha lasciato?
L’Olanda ti arricchisce mentalmente e tecnicamente. Trovi persone dure, lì di atleti del mio peso forti, che campano di kickboxing, ne trovi 14 alla volta. Regna il concetto della stanchezza, del sacrificio, hai pochi secondi di riposo, arrivi allo stremo.
Parliamo del tuo avversario Charles Joyner, di nuovo.
La sua altezza è rara nella mia categoria. Ha tre caratteristiche peculiari difficili da trovare: è alto 2 metri e 4, è mancino e nonostante la statura non è statico. In Olanda non c’era nessuno così, né come altezza, né come stile. Farò sparring con Alex Rossi che è mancino, ha uno stile simile al suo ed è alto 1.96. Anche lui altissimo, ma non è 2 metri e 4…
Che incontro ti aspetti?
Sarà un match di circostanza per via delle sue caratteristiche. Farò il mio, voglio essere elusivo e tempista. Se vedo che la strategia mi premia, continuo. Altrimenti ho il piano B e anche il piano C. Sono preparato a tutto. I mancini li conosco, gli attendisti pure, i picchiatori neanche a parlarne. Sul ring so essere flessibile.
In Italia quindi si può fare una preparazione d’alto livello come negli altri paesi?
A livello tecnico i Raini (Milo e Manuele, fondatori del Raini Clan, il suo team ndr) sono super competenti, non hanno nulla di meno dei migliori maestri olandesi. Ho come preparatore atletico Antonello Regina, che sta 10 anni luce davanti alle metodiche olandesi. Quelli sono metodi rudimentali. La loro forza è che in una palestra trovi 12 fenomeni. Il materiale umano fa la differenza e lì ne hanno tanto. Poi c’è un aspetto fondamentale da ricordare.
Quale?
Stiamo vivendo una belle epoque della kickboxing, ma sono anche consapevole che è tutto precario. Quel che c’è oggi, domani potrebbe non esserci più. Non è uno sport radicato nella cultura italiana come il calcio o la Formula 1. Spesso i treni non ripassano, per me è ripassato. E sono carico.
Jake Paul ha annunciato di voler creare un sindacato dei fighters.
Lo conosco solo per sentito dire, so che è una persona socialmente cresciuta tanto. Se lo vediamo in grandi palcoscenici, le qualità le ha. Un sindacato dei fighters, in linea teorica, sarebbe una gran cosa in America. Figuriamoci in Italia, dove c’è gente costretta a dover fare altri dieci lavori per sbarcare il lunario. C’è chi fa il carrozziere o il commesso al supermercato e non c’è niente di male per carità. La nota negativa non sono questi lavori, ma l’esigenza di dover svolgere altre occupazioni per permettersi di fare l’atleta professionista. Dopo otto ore da operaio, andare la sera in palestra per preparare un match importante è tosta. Il punto di partenza può essere la maggiore visibilità, come quella di Dazn, sfruttando anche chi ne ha già costruita una per sé.
Un po’ come il tuo amico Sim1workout (Simone Carotenuto) che ha preso parte al match tra youtuber contro Domenico Venditto degli Street Gorilla nel sottoclou dell’evento di Guido Vianello.
Hanno fatto bene, è stato un match ufficiale da dilettanti, con un sacco di ascolti. Sono ragazzi educati e il loro è stato un incontro serio da pugili iscritti alla federazione. Non hanno fatto buffonate, questo va specificato. Hanno portato attenzione agli sport da combattimento. Se un utente guarda l’evento per Simone, di conseguenza assiste anche ai match precedenti e successivi. Così facendo, conosce uno scenario diverso, si affeziona allo sport e conosce gli altri pugili. Se le persone iniziano a conoscere questo sport, è più plausibile che l’utenza aumenti.
E a proposito di boxe, un anno fa hai vinto il titolo italiano dei massimi leggeri. Quali obiettivi hai?
Voglio sempre arrivare il più in alto possibile. Ragiono step dopo step. In futuro penserò anche al pugilato, puntando a obiettivi più alti fino a dove posso arrivare. Ma sicuramente resta un’idea e una realtà nella mia carriera, voglio continuare a vivere il dualismo dei due sport.
Nove anni fa hai sfidato Alex Pereira. Ora lui dopo tre sfide in Ufc, si è subito trovato di fronte alla sfida titolata. Per te le Mma sono un discorso chiuso o un percorso del genere continua a stimolare la fantasia?
Mai dire mai, concettualmente mi piacerebbe, non lo nascondo. Il mio footwork elusivo potrebbe anche premiarmi. Ma vivere il dualismo kickboxing e pugilato è già un impedimento in termini organizzativi. Inserire un altro scenario sarebbe complicato. Ora voglio concentrarmi solo sul prossimo match.
E che significato ha questo match alla luce di quel che è successo?
Il protagonista di un film deve sempre toccare il punto più basso per far sì che il suo epilogo finale sia il più glorioso possibile. Spero che per me ci sia una storia ancora più bella da raccontare. Ho visto sfuggire il sogno di una vita. Ho superato la preoccupazione, le cure, 42 giorni di farmaci. Adesso ho la possibilità di combattere di nuovo con Joyner, sempre a casa mia e sempre per il Mondiale su Dazn. Semplicemente, tutto questo mi ha reso felice. Sto a duemila.