Vittoria della prima Coppa Davis Junior rappresentando l’Italia nel 2012, trionfo a Wimbledon e prima posizione nel ranking ITF Junior nel 2013 e due successi a livello Challenger. Successivamente alcuni frangenti grigi, tra infortuni, risultati che stentavano ad arrivare e una tangibile insofferenza per la situazione creatasi dopo una carriera sensazionale a livello Junior. Gianluigi Quinzi ha chiarito ogni dubbio sull’evoluzione della sua carriera ai microfoni di Sportface.it, rilasciando un’intervista esclusiva attraverso la quale ha parlato a cuore aperto del suo percorso nel mondo del tennis, dall’exploit sino al ritiro. Da stella particolarmente luminosa del firmamento tennistico italiano all’addio al professionismo nel 2021; Quinzi ha esplicato le motivazioni della sua scelta, delineando passo per passo la sua carriera. In alto il video.
NUOVO INIZIO – “Adesso sono molto contento, il tennis era più un dovere che un piacere. Adesso mi alzo la mattina e sono contento, sto facendo tanti investimenti e studio sul settore manageriale, se tutto va bene a breve riuscirò a laurearmi in triennale; inoltre, sto seguendo un ragazzino. A 5 anni è nata la passione per il tennis, mio padre era presidente del circolo del mio paese e in quel momento ho iniziato la mia avventura a San Giorgio. La mia avventura da tennista professionista è iniziata invece da Nick Bollettieri, negli Stati Uniti. Da ragazzino mi sentivo più bravo degli altri, tecnicamente forse inferiore, ma ero molto competitivo e riuscivo a gestire bene ogni partita”.
PRESSIONE E CRITICHE – “Non ero molto bravo a gestire la pressione, era il mio tallone d’Achille. Ero molto influenzato dalle persone intorno a me. Se non riesci a stare lucido mentalmente, poi ovviamente è difficile rendere dal punto di vista tecnico; inoltre ho avuto vari infortuni e man mano è venuta a mancare la passione. Durante i periodi negativi, naturalmente, se non hai passione e convinzione non riesci a superare determinati periodi: mi basavo solo sul risultato. Ascoltavo ciò che si diceva su di me, ma gradualmente mi sono stancato. Quando ho vinto Wimbledon Junior mi dipingevano come il nuovo Nadal, mentre quando ho iniziato a perdere pretendevano che vincessi facilmente ogni Challenger; non sono riuscito a gestire alcune dichiarazioni su di me”.
OBIETTIVI – “Alcuni giornalisti parlano senza sapere come le cose stiano effettivamente, si focalizzano solo sulle partite, mentre dietro a esse ci sono alcuni periodi particolari. Non è così semplice, tutti vedono il rendimento in campo, ma prima di arrivare a fare determinati risultati ci sono tanti sacrifici. Sono sempre stato un ragazzo determinato, che voleva raggiungere i propri obiettivi. Non ho rimpianti, ho dato tutto me stesso, sento di aver fatto una signor carriera e sono felice, mentre prima non lo ero. Adesso spero di realizzarmi in un altro ambito, non voglio che mi si ricordi soltanto come ex tennista professionista”.
ALLENATORI – “Ho cambiato tanti allenatori perché non avevo feeling con loro, non avevo bisogno di compagnia, ma di una persona che mi migliorasse e non si focalizzasse soltanto sui soldi. Non mi sono accontentato di stare con un determinato allenatore, ma avevo la necessità che i coach mi conferissero qualcosa in più. Ho pensato di cambiare il movimento del dritto, avrei dovuto farlo da ragazzino; quello è il colpo meno naturale per me, avevo difficoltà a prendere campo con il dritto, ma man mano diventava sempre più difficile cambiarlo radicalmente”.
BERRETTINI E SINNER – “Aver condiviso allenamenti e tornei con Berrettini è stato un onore, abbiamo vinto insieme due campionati a squadre. Io e Matteo ci stimolavamo a vicenda, merita il successo perché è un campione vero e potrà diventare una leggenda; secondo me si parlerà tanto di lui in futuro, sempre di più. Ho incontrato Sinner a Bergamo 2019, mi ha preso a pallate e ho subito pensavo che fosse un fenomeno, credevo che potesse fare l’exploit in poco tempo e così è stato”.
PASSIONE E FUTURO – “Non ce l’ho fatta perché non avevo abbastanza passione per giocare a tennis: non giocavo per me stesso, ma per gli altri. Ci sono stati determinati periodi non positivi. Vincere da giovane non è così semplice, bisogna avere tanta pazienza e non eccessiva fretta per fare subito risultati, mentre io ce l’avevo, mi sentivo inferiore se non raggiungevo determinati obiettivi. La passione non può esserci solo quando vinci, ma anche quando i periodi sono bui, così da stare sul pezzo e dimostrare a te stesso che vali. Non sono stato bravo a gestire determinate pressioni, è qualcosa di innato, come dice Djokovic, bisogna conviverci e io non l’ho fatto al meglio. Adesso sono convinto di me stesso, posso far tanto per il mio futuro, voglio godermi la vita e sono contento riguardo ciò che sto facendo; penso che potrò fare grandi cose in diversi settori”.