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Reduce dalla rassegna iridata che ha avuto luogo a Londra tra luglio e agosto, Martina Chirico, portiere del CUS Pisa e della Nazionale italiana di hockey su prato, è l’esempio di come l’impegno e il duro lavoro possano regalare immense soddisfazioni: una carriera cominciata tardi quella dell’atleta pisana, che solo a diciotto anni ha mosso i primi passi nel mondo dell’hockey su prato e qualche anno dopo è diventata, oltre a un caposaldo del proprio club e della maglia azzurra, uno degli estremi difensori più forti del pianeta. I microfoni di Sportface.it hanno raggiunto Martina Chirico per una lunga intervista esclusiva.
Martina, facciamo un bilancio del Mondiale appena concluso, a livello personale e di squadra.
“Il mondiale appena concluso è stato spettacolare sotto tutti i punti di vista: averlo conquistato per il nostro gruppo aveva già rappresentato una grandissima emozione e un traguardo storico. Ai nastri di partenza eravamo la selezione col ranking più basso e alla fine del torneo ci siamo classificate none su un totale di sedici squadre, un piazzamento veramente incredibile per quelle che erano le premesse iniziali”.
Quali sono stati i momenti più importanti del vostro cammino londinese?
“La doppia vittoria nel girone contro Cina e Corea del Sud ci ha permesso di guadagnare sei punti importantissimi per la classifica finale. Il successivo incrocio contro l’India, agli ottavi di finale, non è andato come ci aspettavamo, ma in ogni partita siamo cresciute, ci siamo messe sempre in gioco anche contro l’Olanda numero uno del mondo. Non posso comunque che essere felice ed entusiasta e spero che questo risultato possa permettere al nostro sport di avere finalmente maggiore visibilità in Italia”.
Quando e come hai cominciato a praticare questo sport?
“Ho iniziato a giocare all’età di diciotto anni, perché ci giocava mia sorella Chiara e il mio circolo di tennis (il mio primo sport) stava per chiudere i battenti. Ho preso questa scelta perché volevo provare a cambiare: da sport singolo a sport di squadra la differenza è notevole e questo mi incuriosiva tantissimo”.
Hai scelto fin da subito di fare il portiere?
“Per fortuna/sfortuna l’hockey è uno sport molto tecnico, quindi per fare il giocatore di ruolo ero troppo grande, ho provato ad andare in porta e mi pare abbia funzionato molto bene. Il portiere è il giusto compromesso tra sport di squadra e sport individuale: giochi comunque con le tue compagne e lottate per la stessa maglia, ma hai la tua area, dove sei tu a comandare ed è una sfida personale con l’attaccante. Nel bene e nel male, sono sempre stata una persona molto competitiva”.
Quando è arrivata la prima convocazione in Nazionale?
“In un torneo ufficiale nel 2009, a Roma, si trattava di un Europeo di Serie B e cercavamo la qualificazione in Pool-A, promozione che fortunatamente è stata ottenuta. Ero il secondo portiere”.
Il momento più bello della tua carriera?
“Nella mia carriera ho avuto davvero molti bei momenti e tante soddisfazioni, la più grande è stata quella di cantare l’inno alla prima partita del Mondiale, non ci credevo, sembrava un sogno. Altri bei momenti derivano dai riconoscimenti ufficiali, come il premio di miglior portiere del torneo alla World League di Bruxelles 2017 e direi anche nel corso di quest’ultimo Mondiale, quando mi hanno nominata ‘Player of the match‘ dopo la partita contro la Corea del Sud. Anche con il mio club, il CUS Pisa, ho avuto molte soddisfazioni: su tutte la vittoria di uno scudetto su prato, davvero lottato e desiderato, e di quattro scudetti indoor che ci hanno dato la possibilità di giocare contro altri club in Europa. Durante queste competizioni non sono mancati successi a livello personale: ad esempio mi hanno nominato miglior portiere del campionato italiano outdoor nella stagione 2017/18, spesso mi è capitato di essere premiata anche nel corso dei vari tornei internazionali”.
Quello più difficile? Come hai reagito?
“Per quanto riguarda i momenti difficili ho sempre agito e reagito nella stessa maniera, e cioè lottando e allenandomi sempre di più per ottenere un risultato migliore. Un brutto momento è stato sicuramente quello di Anversa, nel 2015, quando abbiamo perso la qualificazione olimpica agli shoot out, ovvero ai rigori”.
Hai già raggiunto tanti traguardi importanti negli ultimi anni: qual è ad oggi il tuo sogno nel cassetto?
“Devo dire che, come atleta, attualmente non ho particolari sogni nel cassetto: quello che ho fatto fino ad ora mi ha veramente emozionato e regalato soddisfazioni”.
Quali sono le tue aspettative per la prossima stagione, a livello di club e di nazionale? Quali gli obiettivi imminenti?
“Per il prossimo anno sinceramente non ho aspettative agonistiche, credo che smetterò di giocare e proverò a dare priorità ad altre sfere della mia vita che fino ad oggi ho dovuto mettere un po’ in disparte: continuerò ad allenarmi e a stare con le mie compagne, ma sento anche il bisogno di realizzarmi in altro come nel lavoro, e quindi in una carriera da allenatore”.
Qualcuno ha mai provato a portarti via da Pisa? Qual è stata la tua risposta?
“Ho ricevuto molte offerte dall’estero in questi anni, ma ho sempre rifiutato, sia perché desideravo terminare l’università sia perché ho sempre pensato che il CUS è il mio club e se non ci si prende cura di casa nostra nessuno lo farà per noi”.
Alleni regolarmente bambini e adolescenti: quali sono le cose a tuo avviso più importanti da trasmettere agli allievi e quali consigli daresti alle nuove generazioni che compiono i loro primi passi nel mondo dell’hockey su prato, o più in generale nello sport?
“Grazie al CUS Pisa ho avuto la possibilità di allenare molti ragazzi e ragazze: quello che ho sempre cercato di trasmettere è la mia passione e il mio amore per questo sport e per questi colori, ho cercato di far comprendere che il lavoro di squadra permette di raggiungere obiettivi inimmaginabili e che il duro allenamento ripaga sempre. “Hard work beats talent when talent doesn’t work”: un concetto che ai ragazzi d’oggi viene poche volte trasmesso e che a mio avviso è la chiave di qualsiasi successo sportivo”.